«L’Italia ha tutto per arrivare in zona podio»
DALLA PRIMA DELL’INSERTO
Nell’attesa ha girato in lungo e in largo il Brasile, toccando con mano il malessere che travaglia il Paese e la contestazione che accompagna l’attesa per il grande appuntamento.
Un clima pesante, in che misura peserà sul Mondiale?
«Premetto che ritengo la protesta valida proprio perché dettata dalla presa di coscienza di un popolo che soffre per i troppi disagi con cui è costretto da troppo tempo a convivere. Il Mondiale non c’entra nulla, è solo il mezzo per attirare il più possibile l’attenzione sui problemi reali, sfruttando la risonanza che ne deriva. Credo che la sicurezza sarà garantita e che non si arriverà a manifestazioni di violenza che possano mettere a rischio l’andamento del torneo. Anche chi va allo stadio, per capirci, condivide i motivi della protesta».
Un clima di tensione ma anche di grande attesa: chi sarà la stella del Mondiale?
«Neymar. È un talento assoluto, con potenzialità inespresse visto che ha appena 22 anni. L’esperienza di Barcellona, nonostante gli acciacchi che ne hanno condizionato il rendimento, senz’altro gli ha giovato accelerando il suo processo di crescita. L’ho visto nell’amichevole col Panama, è gasatissimo, sono convinto che farà un grande Mondiale. È ovvio che dovrà battere un’agguerrita concorrenza, prima fra tutte quella di Messi che si presenta con il ruolo di numero uno».
Due campioni a confronto, basta per dire che Brasile e Argentina sono superfavorite?
«Sicuramente le loro prestazioni possono fare la differenza ma è chiaro che fino in fondo ci arrivi solo se fai parte di una squadra di grande spessore. Il Brasile mi convince, questo è certo. Prima della Confederations cup ero perplesso, lì ho invece cominciato ad apprezzare il lavoro di Scolari e la forza del team sul quale il tecnico ha puntato. Lui mi piace per come gestisce i giocatori che ha scelto, c’è spirito di gruppo, armonia, disciplina tattica, chiarezza nelle scelte. Gran parte dei convocati della Selecao gioca in Europa è anche questo è un fattore importante, in più alle spalle dell’undici base ci sono elementi di assoluto valore in grado di tenere i titolari sotto pressione».
A proposito di qualità: in Italia si discute sull’opportunità di schierare insieme Verratti e Pirlo.
«E questa mi sembra fesseria. Nel Brasile che nel 1970 in Messico battè in finale l’Italia c’erano addirittura quattro numeri 10: Pelè, Rivelino, Gerson e Tostao. Più Jairzinho, altro attaccante, all’ala. Quella resta una delle più forti nazionali brasiliane di tutti i tempi. Chi ha talento deve giocare, punto e basta. Pirlo, nel ruolo, è tra i primi al mondo, Verratti, un ragazzino, ha dimostrato in Francia di che pasta è fatto e mi sembra che quando Prandelli lo ha messo dentro è andato anche oltre quelle che potevano essere le aspettative. Il ct azzurro sta facendo un buon lavoro. L’ho apprezzato durante la Confederations cup, credo che presenterà una squadra competitiva, capace di giocarsi le sue chanches per arrivare almeno in zona podio».
Ci saranno sorprese?
«Questo lo scopriremo nella fase a gironi. Lì ci sono insidie per tutte le squadre, anche per le più accreditate. Se superano questo scoglio vedremo protagoniste Brasile e Argentina, Spagna e Italia, Olanda e Germania Francia e Inghilterra, ovvero le nazionali che hanno fatto la storia. Tra le possibili sorprese si parla molto bene del Belgio che io però non conosco, la Colombia senza Falcao è un punto interrogativo, al Portogallo potrebbe non bastare Ronaldo, vedo invece molto bene il Cile che ha un buon organico e un allenatore capace. Parlo di Jorge Sampaoli, argentino che nel gioco si ispira a Bielsa. Non mi convince l’Uruguay: ha grandi attaccanti ma anche una squadra un po’ datata che non è riuscita a rinnovarsi».
L’Uruguay nel 1950, proprio al Maracana, riuscì a rovinare la festa a un Paese intero. Una ferita ancora aperta?
«Ma no, è roba dell’altro secolo, un ricordo sbiadito che resta solo sugli almanacchi. Da calciatore ho affrontato 15 volte l’Uruguay, era una partita come le altre. Del resto, nel frattempo, il Brasile ha vinto cinque Mondiali; forse è un’ossessione solo per loro, visto che l’ultimo trionfo resta appunto quello del ’50».
È cambiato anche il Maracana.
«In meglio, nonostante la capienza ridotta. Ho giocato lì un Flamengo-Vasco, finale di campionato, davanti a 164 mila spettatori. Oggi i posti a sedere sono 77 mila, i lavori sono stati ultimati da tempo, lo stadio è perfetto. Resta un tempio, come Wembley, un’emozione fortissima per chi arriverà lì a giocarsi il titolo».
Antonio De Leonardis
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