Mazzola vota Rivera come presidente

C’erano i Beatles, i Rolling Stones, la “Fiat Seicento”, Sandro Mazzola e Gianni Rivera. Già, perché Mazzola e Rivera non sono semplicemente due ex calciatori, ma un pezzo di storia moderna, icone dell’Italia del boom economico, la fotografia di una Milano che era quasi da bere, il simbolo di un calcio che si riprendeva il mondo. Un dualismo sano, mai velenoso, sicuramente acceso ed esasperato da quella staffetta di Messico 1970 voluta dal ct Ferruccio Valcareggi. Una rivalità d’altri tempi, a viso aperto, senza colpi bassi. E la prova arriva oggi con l’ex bandiera dell’Inter che indica proprio nel simbolo del Milan degli anni sessanta e settanta l’uomo adatto per la rifondazione del calcio italiano. Insomma la persona giusta per occupare la poltrona presidenziale lasciata libera da Abete.
«Gianni Rivera non solo è stato un fuoriclasse sul campo – ha detto Mazzola – ma ha grande esperienza a livello dirigenziale e conosce molto bene la realtà giovanile. Se il calcio è in crisi, facciamolo salvare da chi di calcio ne capisce. Il problema dell’Italia è la mancanza di autentiche vocazioni calcistiche. In Sudamerica, invece i bambini ancora giocano per strada, scoprono giorno per giorno il gusto di un dribbling, di una finta, di un tunnel, lì devono difendere il pallone da mucchi selvaggi, lì tentano le giocate più spettacolari. Quella è la scuola migliore per far crescere dei campioni: il divertimento». Un assist col contagiri per il rivale di un tempo. E pensare che quando giocavano era Rivera a calibrare passaggi per Mazzola che era più finalizzatore. Peccato che a Messico ’70 Valcareggi non ebbe il coraggio di schierarli insieme. E di quella edizione Mazzola ricorda situazione climatiche difficili ma che non furono mai prese come alibi: «Andammo a giocare a Toluca, a oltre 2.600 metri sul livello del mare, con un caldo terribile – ricorda Mazzola – ti rinfrescavi in panchina e quando arrivavi a metà campo la maglia era già asciutta. Però se hai i piedi buoni, di solito le partite le porti a casa».
Rivera presidente è un’ipotesi suggestiva anche se storicamente l’ex Abatino è più uomo di rottura che di palazzo, più di lotta che di governo anche se in realtà ha le competenze e il carisma per poter ricoprire da protagonista un ruolo delicato come quello presidenziale.
E in attesa del consiglio federale di domani che dovrebbe fare un po’ di chiarezza quantomeno sulla “road map” che dovrebbe portare all’elezione del nuovo presidente e alla nomina del nuovo ct stanno nascendo nuove ipotesi per la successione a Cesare Prandelli che ha ribadito che non tornerà sui suoi passi nonostante le continue pressioni dell’ambiente, ultima in ordine di tempo quella di Gigi Riva.
«Accettare le dimissioni di Prandelli significherebbe farsi male da soli – ha detto Rombo di tuono – spero che ci ripensi, non deve pagare chi non è colpevole. Ditemi voi: chi avrebbe dovuto convocare, chi di così forte è rimasto a casa?».
Intanto Carlo Tavecchio e Demetrio Albertini, candidati forti per la carica presidenziale, si stanno muovendo per arrivare alle elezioni con il più ampio consenso.
Lo storico dirigente della Lega dilettanti prende tempo e vuole far slittare le elezioni a dopo l’11 agosto mentre l’ex centrocampista del Milan va di fretta: subito il ct e l’11 agosto il nuovo presidente. È chiaro che per l’investitura in tempi rapidi del nuovo commissario tecnico serve l’accordo di tutte le componenti e allora ecco che non necessariamente la scelta potrebbe cadere su Allegri e Mancini. Tavecchio infatti gradirebbe Guidolin o Cabrini, uomo di Coverciano e che ricopre l’incarico di ct della nazionale femminile. Folcloristica invece la candidatura di Fabio Cannavaro: da Dubai a Coverciano il passo è troppo lungo.
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