Michele, dalla Toscana per unirsi alla protesta

INVIATO A RIO DE JANEIRO. La barba incolta e il giubbotto verde militare non bastano per intravedere lo spirito ribelle sul volto di Michele, meno di trent’anni, sbarcato in Brasile da poche ore....
Di Alessandro Bernini
A riot police officer points his weapon toward demonstrators on the other side of a burning barricade near the Arena Fonte Nova stadium in Salvador, Brazil, Saturday, June 22, 2013. Demonstrators once again took to the streets of Brazil on Saturday, continuing a wave of protests that have shaken the nation and pushed the government to promise a crackdown on corruption and greater spending on social services. (AP Photo/Andre Penner)
A riot police officer points his weapon toward demonstrators on the other side of a burning barricade near the Arena Fonte Nova stadium in Salvador, Brazil, Saturday, June 22, 2013. Demonstrators once again took to the streets of Brazil on Saturday, continuing a wave of protests that have shaken the nation and pushed the government to promise a crackdown on corruption and greater spending on social services. (AP Photo/Andre Penner)

INVIATO A RIO DE JANEIRO. La barba incolta e il giubbotto verde militare non bastano per intravedere lo spirito ribelle sul volto di Michele, meno di trent’anni, sbarcato in Brasile da poche ore. «Vengo dalla Toscana ma non mi chiedere altro, i miei sanno che sono in vacanza».

Invece altro che vacanza. «Sono qua per unirmi alle proteste del popolo brasiliano. Da solo, senza nessuna intenzione di far casino. Non ce l’ho col calcio, non sono tifoso ma comunque lo seguo. Ce l’ho col modo con cui sono stati spesi miliardi di dollari: qui c’è gente che muore di fame, e pensano a fare gli stadi».

Michele cammina con una guida della Routard in mano. Ha preso una stanza a Rio de Janeiro, resterà una settimana. «Ho pochi soldi, quando iniziano le partite torno a casa. Mi sono sistemato in un quartiere pieno solo di miseria, come l’80% del Brasile. Non mi fanno paura le favelas, anzi, mi piace ascoltare cosa dice la gente, qui ci sono persone che meriterebbero molto di più».

Ma come nasce l’idea di partire dall’Italia per unirsi a una protesta di questo tipo? «Ho visto le immagini dello scorso anno (alla Confederations cup, ndr) e già da qualche mese avevo preso la decisione. Ho amici nei centri sociali ma non li frequento, non sono un black block se è questo che vuoi sapere. Te l’ho detto, non sono qui per fare casino e, fosse per me, l’obiettivo dovrebbe essere far giocare le partite in stadi vuoti, anche se sarà impossibile. Se ho votato? No. Faccio quello che mi dice la coscienza, figurati se sto dietro ai partiti».

San Paolo è già stata bloccata dalle proteste, entro due, tre giorni toccherà anche a Rio. «C’è polizia ovunque ma non basteranno. La protesta è forte, non possono fermare un popolo in marcia. Al massimo ci potranno tenere lontano dagli stadi, ma il messaggio al mondo arriverà forte e chiaro».

Ma a qualcosa può servire la protesta? Michele alza le spalle: «Non lo so, forse no perché hanno già dilapidato soldi su soldi. Però dare un segnale forte oggi, può far capire che in futuro si dovrà pensare di più al popolo e meno allo spettacolo. Magari tra 40 anni ci sarà un altro Mondiale in Brasile, e questa protesta ricorderà a tutti che bisogna pensare anche alla gente che muore di fame. Guardati attorno? Baracche, ragazzini che vendono bottiglie d’acqua in mezzo alla strada, case a pezzi. Vedi un vecchio in giro? No, perché qui non si arriva a 60 anni, si muore prima. Altro che pensioni...»

Michele ci saluta. «Scrivi bene. Le bestie non siamo noi ma chi tratta così questa gente. Ciao, ci si vede».

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