Ritardi, sprechi nuove tasse e scontri È l’altro Mondiale

Spesi già dieci miliardi di euro: stadi ancora da ultimare Predisposte leggi ad hoc per evitare nuovi tumulti
Di Andrea Gabbi

La prima cosa che un buon vigile del fuoco fa appena domato un incendio in un’abitazione è quella di verificare lo stato delle fondamenta. C’è da controllare la struttura, la sua consistenza, e soprattutto c’è da evitare che alcune braci nascoste possano far ripartire il fuoco. Questa la fotografia di quanto successo in questi mesi in Brasile.

I problemi alla base dei disordini di un anno fa, quando il paese fece le prove generali in vista dell’appuntamento iridato ospitando la Confederations cup, non sono stati risolti e molto probabilmente si ripresenteranno ora che si fa sul serio.

I fatti. Tutto ebbe inizio con l’assegnazione del Mondiale al Brasile. Un successo per l’amministrazione dell’allora presidente Ignacio Lula (era il 2007), uomo nuovo della politica sudamericana a capo di un paese pronto per il salto al tavolo dei grandi. I lavori per la costruzione degli impianti partirono nel 2010. Tempi agevoli per arrivare pronti all’appuntamento. La storia però ha bocciato l’idea: a oggi sono almeno due gli stadi non ancora ultimati (a Natal la situazione più preoccupante). Ma non di soli impianti vive il calcio. Ci sono anche le infrastrutture, realizzate in maniera approssimativa e insufficienti per garantire sicurezza e confort per le centinaia di sportivi che prenderanno d’assalto strade, ferrovie e aeroporti in questo periodo. Perché tutte queste difficoltà in un paese in grande espansione? Perché la corruzione e la malapolitica si sono insinuate nelle stanze dei bottoni, frenando il cammino dell’intero Stato.

Le rivolte. Il malumore di una popolazione che non è riuscita a migliorare le sue condizioni sociali nonostante lo sviluppo economico è sfociato in rabbia negli ultimi due anni. L’avvento al potere di Dilma Rousseff ha cambiato le carte in tavola. La grande popolarità di Lula infatti ha lasciato il posto alla politica di austerità impostata dal nuovo presidente. Un presidente che però ha dato carta bianca alla Fifa che con il suo giro d’affari è entrata a piedi pari nel tessuto economico brasiliano. Durante la scorsa estate la pazienza della popolazione è finita. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’aumento arbitrario imposto dal governo sui prezzi dei mezzi di trasporto pubblico. Un incremento voluto dall’amministrazione per finanziare la Confederations cup. La manifestazione “trampolino” del Mondiale è stata il teatro della rabbia verdeoro. Migliaia di persone nelle piazze e nelle strade, tumulti quasi perenni, squadre costrette a muoversi con la scorta militare per raggiungere stadi e ritiri. Un paese bunker con l’aggravante delle vittime.

Gli scontri. La tensione tra forze dell’ordine e manifestanti ha raggiunto picchi incredibili. I morti del 2013 non sono stati dimenticati e nemmeno le dichiarazioni della Fifa: «Se il bersaglio è la Fifa in quanto responsabile di quello che succede in un paese, il bersaglio è sbagliato. L’idea che sta dietro una candidatura è quella di sviluppare un paese e non di distruggerlo». Parole e musica di Jerome Valcke, segretario generale del calcio mondiale. Il braccio destro di Jospeh Blatter ha sempre tirato dritto. Nascondere la polvere sotto il divano però non sarà facilissimo durante le gare. Un recente sondaggio ha evidenziato come il 56 per cento dei brasiliani non gradisca l’organizzazione dell’evento. La polizia sta studiando un piano per bloccare ogni focolaio, con arresti preventivi e leggi ad hoc contro eventuali manifestazioni.

La situazione in cifre. I ritardi sulla consegna degli impianti sono imbarazzanti e hanno fatto schizzare alle stelle il costo del Mondiale: quasi tre miliardi di euro solo per le opere legate agli stadi (sette nuovi di zecca, gli altri cinque profondamente rinnovati) per un costo complessivo che, secondo le previsioni iniziali, sarebbe pari a 13,28 miliardi di dollari, quasi dieci miliardi di euro. Per capire la situazione è utile rivisitare l’agonia del Maracanà: la ristrutturazione dello stadio simbolo è costata circa 370 milioni di euro. Per l’inaugurazione la frittata. Lo stadio infatti non era ancora del tutto ultimato e le lacune strutturali hanno fatto sì che un violento temporale rendesse le fondamenta impraticabili. Risultato? Altri soldi da spendere. E negli altri impianti la situazione non è certo migliore: a San Paolo, l’Itaquerao sarà agibile ma con parte della copertura fuori uso. A Cuiabà (Arena Pantanal) molti spettatori dovranno portarsi l’ombrello in caso di pioggia. Senza parlare poi delle morti bianche nei cantieri per la costruzione degli stadi. Otto vittime di un sistema che ha cercato di fare del suo meglio e che a conti fatti ha fallito ancora prima del calcio d’inizio.

Il paragone con il 2010. Impietoso il raffronto con il Sudafrica. Per gli stadi del 2010 vennero spesi un miliardo e 400 milioni di dollari. Briciole in confronto ai finanziamenti brasiliani. C’è di più. Il Sudafrica non è uno stato a vocazione calcistica. Non esistevano quindi stadi dedicati solo al pallone.

Nonostante questo la spesa pubblica è stata mantenuta su standard accettabili per le tasche della popolazione. E non è tutto. I brasiliani sono preoccupati per il futuro. Nel 2016 infatti arriverà un’altra stangata con le spese previste per i Giochi olimpici. Un quadro davvero poco edificante.

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