«Schwazer a Rio? I paladini dello sport sono altri»

TRIESTE. «Si può andare forte anche senza scorciatoie. Se Alex Schwazer da “pulito” ha i minimi per qualificarsi per le Olimpiadi di Rio de Janeiro, vada pure a disputarle. Se le regole vengono rispettate, ci sta. Per quanto mi riguarda, però, i paladini dello sport sono altri».
Il rientro del marciatore azzurro squalificato per doping e affidato alle cure del preparatore Sandro Donati, strenuo nemico del doping, sta dividendo il mondo dello sport italiano. Deflagranti le parole dell’iridato indoor dell’alto Gianmarco Tamberi («Vergogna d’Italia, squalificatelo a vita»). Nel dibattito da ieri c’è anche la voce di Margherita Granbassi. Un suo lungo post su Facebook non è passato inosservato. Scatenando reazioni.
«Qualcuno ha equivocato il contenuto delle mie osservazioni. Non volevo fare processi sommari a nessuno. - spiega Granbassi - Ho espresso un concetto. Spero che la vicenda Schwazer possa servire da insegnamento. Non diventerò una sua tifosa ma sono sempre disposta a dare a chiunque una seconda possibilità. Però mi chiedo: regole e controlli uguali in ogni Paese, per ogni sport e impedire a chi ha barato il ritorno alle gare, non sarebbero il metodo più efficace per sconfiggere il doping?».
Nel suo lungo sfogo su Fb la ex fiorettista ha osservato che «lo sfogo di Tamberi è comprensibile e la maggior parte degli atleti è dalla sua parte: chi suda, si spacca la schiena, si allena pulito, è umano e giusto nutra rancore verso chi gioca sporco e infanga il nome dello sport che pratica gettando sospetti su ragazzi puliti».
Margherita Granbassi a Roma frequenta il Parco delle Valli. Corsette con il passeggino, da mamma sportiva. Il parco pubblico ha anche una pista di atletica verde e una corsia esterna in tartan che hanno ospitato nei mesi scorsi allenamenti di Schwazer agli ordini di Donati. «Gli anziani del quartiere applaudono, gli amici a quattro zampe lo seguono...operazione libro Cuore riuscita. Alex è una persona, un atleta, è stato un “prodotto” ma è anche una storia. Che fa discutere, incazzare, impietosire, incuriosire e probabilmente farà tornare Schwazer ad essere un “prodotto”....»
«...Quando si tratta doping - prosegue la campionessa triestina - divento più severa. Sarà che di ostacoli nella mia carriera sportiva ne ho incontrati tanti, che mi sono operata sette volte e saltato mille gare, l’unica strada che ho sempre percorso è quella dell’impegno e del lavoro, con la voglia di tornare e rifarmi, spinta dalla locomotiva della passione. Mi farà strano vedere la maglia azzurra addosso a Schwazer, non ho creduto a molte delle sue parole e non farò il tifo per lui. Ma mi metto anche nei suoi panni, penso ai suoi demoni, ai suoi incubi, alle ostilità che vivrà nel suo ambiente. Ci vuole coraggio a voler tornare. Non credo che diventerà mai un paladino dell’antidoping, avrebbe potuto forse diventarlo se si fosse autodenunciato e pentito prima che lo beccassero. Ma sicuramente la sua storia (non lui, beninteso) potrà essere di insegnaento a qualcuno. Ha ottime probabilità di qualificarsi per Rio. La dimostrazione che si può andare forte anche senza scorciatoie. Magari è proprio questo il messaggio, il motivo per cui un duro e puro come Donati ha scelto di affrontare questa strada con lui».
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