“Siamo tutti un po’ Servola”: ecco il racconto di Desio premiato da Il Piccolo

Custodire la propria essenza mentre il mondo accelera, trovare forza nel confine sottile tra novità e identità

Lidia Desio
Il vicedirettore del gruppo Nem con delega al Piccolo Fabrizio Brancoli consegna il premio "Il Piccolo" all'autrice Desio

ll racconto che pubblichiamo di seguito ha preso parte al Concorso “Città di Trieste” che ha lo scopo di promuovere e valorizzare la scrittura femminile. Tra i testi concorrenti, Il Piccolo ha selezionato quello di Lidia Desio per consegnare un premio speciale. Le autrici erano sfidate a misurarsi con un tema attuale, profondo e interiore: “Il confine: tra visibile e invisibile”. Gli elaborati premiati e quelli ritenuti più meritevoli dalla Commissione giudicatrice sono stati pubblicati in un libro. “Modou al compleanno di Francesca” di Elsa Rizzo è il racconto vincitore di questa edizione, la ventunesima, che ha vissuto la sua premiazione giovedì scorso al museo Lets di Trieste in una sala affollata.

 

Il premio letterario Città di Trieste, uno spazio di libertà e riflessione: le vincitrici
Foto di gruppo con le premiate del 21esimo concorso internazionale di scrittura “Città di Trieste” (Lasorte)

 

Era il 2012 quando sono arrivata a Trieste per la prima volta.

Una città decisamente ad est, dove trovi l’ultima stazione delle ferrovie italiane, attraversi l’ultimo casello dell’autostrada e poi nascosta dal carso appare una città nobile e modesta allo stesso tempo, solenne, ricca di storia, con un passato articolato che ha un ritmo decisamente unico rispetto il resto d’Italia. Fino al 2012 non ci ero mai stata, ero passata come tutti i turisti che vanno in Croazia identificando quella città in un cartello autostradale che confermava di essere nella giusta direzione. Poi, mia sorella si trasferì proprio a Trieste e io andai a trovarla e da allora negli anni ci torno regolarmente. La prima volta che arrivai, il navigatore mi portò a casa sua, aveva una piccola casetta tipica a Servola. Io credevo, arrivando da Milano, di esser a Trieste e in quel piccolo borgo avevo riassunto la città. Strade piccole fatte di salite, curve e discese, un paio di bus, niente metropolitana, ritmo lento e gente pronta a chiacchierare al bar soprattutto se sei “taliana”. Che strano ho pensato, che città tranquilla. Son bastati un paio di caffè o di neri come mi hanno subito insegnato e in meno di 24h ho capito che era un quartiere della città e che Trieste era “altrove”. Ho visitato ovviamente la città, sempre niente metropolitana, ma la maestosità dei palazzi e le geometrie urbane hanno raccontato una storia diversa da quel borgo. Un piccolo centro urbano poi assorbito nel tessuto della città, ma che ogni giorno teneva duro per mantenere la propria identità. Il pane, le piccole case, il passato agricolo e di pescatori, poi le industrie, la ferriera, ma Servola resta Servola.

Una veduta di Servola. Sotto: Lidia Desio e il pubblico al Lets alla premiazione del concorso Andrea Lasorte
Una veduta di Servola. Sotto: Lidia Desio e il pubblico al Lets alla premiazione del concorso Andrea Lasorte

Così il paragone con l’essenza umana è stato naturale.

In realtà è stato tutto il contesto che mi ha spinto a ragionare come ognuno di noi non è mai quel che sembra, le etichette e i giudizi che gli altri ci affibbiano dopo una prima occhiata, in realtà spesso rivelano errori madornali dove la verità dimostra di essere l’opposto. Mi sono chiesta cosa spinge ognuno di noi a esser così pronto a dare giudizi con convinzione senza mai prendersi un attimo prima per pensare. La risposta che mi sono data è che ognuno di noi allarga o stringe il proprio perimetro permettendo agli altri di avvicinarsi o stare alla larga. Esiste un confine personale, quel limite che concediamo al mondo esterno di entrarci dentro, di dirci cosa fare, come rispondere alle convenzioni sociali ed essere quello che la società pretende. Ma quando non siamo disposti a sottostare alle convenzioni, cosa succede?

Succede che siamo tutto un po’ Servola.

Siamo tutti unici, esseri umani certo, ma ognuno di noi ha il suo carattere, il suo passato, le sue idee, la propria cultura e soprattutto le esperienze personali che nel tempo ci forgiano, cambiano il carattere, ci evolgono spingendoci a sopravvivere formando una l’identità unica, quindi siamo tutti unici.

Le città cercano di cambiarci, di dettare i ritmi della vita, di modificare le abitudini ma questa a volta è una forzatura. Esiste un confine personale che non siamo sempre disposte a superare. “Esci dagli schemi” quante volte mi è stata detta questa frase, “Esci dalla comfort zone” quasi una esortazione come se mi perdessi qualcosa. Ma uscire dal mio io, dalla mia essenza è una forzatura. Dentro di me, dentro la mia comfort zone c’è il mio mondo, quello che conosco e in cui so muovermi, dove riesco ad essere me stessa e a trovare come interagire con il mondo esterno. Ma è sempre nel mio mondo che ritrovo me stessa, anche quando questo vuol dire non essere allineata con l’esterno.

Immaginate se ad un certo punto la città di Trieste decidesse di cancellare la storia di Servola e modificarla perché di fatto rientra nel Comune di Trieste, cosa ne sarebbe del quartiere? Immaginate che qualcuno decida forzosamente di tirare fuori Servola dalla sua comfort zone, dal suo ritmo e quindi aumentare il numero di bus che servono il quartiere, abbattere le piccole case per far spazio a strade più larghe e condomini di ultima generazione. Perché no? Sarebbero pure vista mare.

E poi via quel che resta delle botteghe, i circoli, i bar, il panettiere, i negozi del vicinato, il museo che apre su chiamata e al loro posto franchising di fast food, supermercati con sole casse automatiche, negozi polifunzionali con dentro bar, panetteria, spesa ed enormi parcheggi, etc… se questo accadesse, chi ricorderebbe più Servola e la sua storia?

Se io accettassi l’incoraggiamento ad uscire dagli schemi ed essere sempre quello che gli altri si aspettano da me, cosa troverei li fuori? Varcare un confine personale è come abbandonare le proprie origini, le proprie radici quindi diventare un’altra cosa. In un’epoca in cui tutto scorre molto velocemente, il mondo si evolve con rapidità, a noi lavoratori viene chiesto di entrare in competizione con “l’intelligenza artificiale”, lottare per non perder competenze o peggio il posto di lavoro, alle donne viene chiesto di esser tutto e il contrario di tutto, come si fa a mantenere i piedi per terra? E se, per vita personale o lavoro, sei costretto a trasferirti, come trovi il perfetto incastro tra te e la nuova realtà? Mia sorella negli oltre 10 anni a Trieste, ha dovuto modificare molti aspetti della sua vita per adeguarsi alla città, banalmente deve stare attenta agli orari altrimenti i supermercati chiudono e resta senza spesa in frigo. Se finisce tardi di lavorare non può contare sui supermercati h24 come Milano, deve ricordarsi che la bottega sotto casa chiude alle 19:30 e il supermercato un po’ più in la alle 20, se poi attraversa città qualche catena discount chiude alle 21. Certo se lavori in città con orario ufficio o sei nel pubblico, questi ritmi sono accettabili, ma se sei un freelance e peggio se lavori con l’estero e i fusi orari ti sballano l’agenda “italiana”, allora diventa complesso. Se però le abitudini possono essere modificate perché è solo sopravvivenza di superficie, il nostro io e quanto ci apriamo, è quello che permette di vivere coerentemente o di contro sopravvivere in superficie.

Ecco che nel tempo ho visto modificarsi la città, arrivare le navi da crociera con regolarità, cambiare l’approccio delle commesse nei negozi che son diventate più internazionali, spuntare i bike sharing e apparire le piste ciclabili in ogni quartiere, zone pedonali, nuovi pub, nuovi locali, bonus facciate e risplendere gli antichi palazzi creando un museo visivo immersivo eppure Servola è fuori da tutto questo. I croceristi non arrivano, non ci sono le piste ciclabili in carreggiata e sempre due bus. L’ufficio postale è rimasto un luogo di aggregazione dove la gente si conosce tutta, si saluta e resta a chiacchierare anche dopo aver fatto le proprie operazioni allo sportello e la panetteria anche se rimodernata è sempre un negozio di quartiere.

Servola resiste e mantiene il suo carattere dentro una città in movimento, dentro una nazione europea, dentro un continente che punta alla globalizzazione. Io sono un po’ Servola, dentro un flusso costante che corre verso il futuro e si modifica alla velocità della luce. Ritrovo me stessa dentro il confine del mio io, fermo e basato sui miei valori identitari. —

Riproduzione riservata © Il Piccolo