«Ci hanno ucciso Riccardo due volte»

Broncoscopia fatale al Burlo, reato prescritto. Il nonno del bimbo: «Credevamo nelle istituzioni, la giustizia ci ha lasciati soli»
Di Corrado Barbacini
20040202 - CRO - CAGLIARI - SANITA': TRAPIANTI AL BROTZU DI CAGLIARI A UNA SETTIMANA DA CADUTA AEREO CON EQUIPE CARDIOCHIRURGICA - La sala operatoria dell'ospedale Brotzu di Cagliari, viene sistemata prima di eseguire un trapianto di fegato. Ad una settimana esatta dalla caduta del Cessna 500, con a bordo l'equipe cardiochirurgica del dottor Alessandro Ricchi, questo è il primo giorno in cui sono ripresi gli interventi chirurgici di due trapianti, uno di cuore e l'altro di fegato, presso l'azienda ospedaliera Brotzu. MARIO ROSAS /ANSA/ KLD
20040202 - CRO - CAGLIARI - SANITA': TRAPIANTI AL BROTZU DI CAGLIARI A UNA SETTIMANA DA CADUTA AEREO CON EQUIPE CARDIOCHIRURGICA - La sala operatoria dell'ospedale Brotzu di Cagliari, viene sistemata prima di eseguire un trapianto di fegato. Ad una settimana esatta dalla caduta del Cessna 500, con a bordo l'equipe cardiochirurgica del dottor Alessandro Ricchi, questo è il primo giorno in cui sono ripresi gli interventi chirurgici di due trapianti, uno di cuore e l'altro di fegato, presso l'azienda ospedaliera Brotzu. MARIO ROSAS /ANSA/ KLD

«Mio nipote Riccardo è stato ucciso due volte. La prima il 15 febbraio 2007 al Burlo, dove era entrato per effettuare un intervento di broncoscopia. La seconda tre giorni fa, quando il giudice ha dichiarato il reato prescritto e ha detto che non c’era nessun colpevole. Sono offeso. Perché questa non è giustizia. Un bambino non muore per caso...»

Le parole sono di Giuseppe Gosdan, 76 anni. È il nonno di Riccardo Senica, il bambino di 14 mesi rimasto vittima al Burlo di una broncoscopia dagli sviluppi nefasti. La sentenza che decretando la prescrizione del reato ha riacutizzato un dolore sempre vivo è stata pronunciata venerdì scorso dal giudice Laura Barresi che ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dell'endoscopista Patrizia Tamburini, 65 anni e dell'anestesista Patrizia Vallon, 58 anni. Il giudice ha agito così perché ormai erano scaduti i termini: il pm Maddalena Chergia aveva depositato la richiesta di rinvio a giudizio degli indagati alla data del 19 giugno scorso. Un mese e mezzo dopo la linea temporale della prescrizione.

Giuseppe Gosdan parla con una pacatezza dignitosa che dissimula la rabbia, tanta, mischiata al dolore: «Se i due medici indagati erano innocenti, come hanno sempre dichiarato tramite gli avvocati, perché non hanno rinunciato alla prescrizione? Perché non hanno voluto dimostrare in aula quella che per me non è la loro innocenza? La verità è che hanno vinto sul ritardo della giustizia. Ma la vita perduta è stata quella di mio nipote. Non le accuso, non posso. Ma non è giusto che non rispondano delle accuse nascondendosi dietro al muro della prescrizione. Non è giusto per me, per mia figlia e mio genero. Ma soprattutto non è giusto per la memoria di Riccardo. Era un bambino sano che forse non avrebbe nemmeno dovuto essere operato...».

Parlando anche per la famiglia, Gosdan rimarca che «questa sentenza ci ha sbalordito, non solo addolorato. Abbiamo sempre creduto nelle istituzioni. Noi pensavamo che la scadenza del procedimento fosse nel mese di settembre 2014. Riteniamo che lo stesso pm Chergia non si aspettasse la prescrizione. Tant’è che avevamo più volte avuto rassicurazioni in questo senso. La verità è che sono stati accumulati ritardi anche nelle procedure. Ci avevano detto che gli atti interruttivi erano stati effettuati. E invece è stato tutto cancellato. Siamo rimasti soli nel nostro dolore».

«Indignazione» è una parola che il nonno di Riccardo pronuncia di frequente. Dice che molti conoscenti e amici hanno telefonato per manifestare solidarietà dopo la sentenza. «Stiamo cercando di capire di chi sono le responsabilità di questo ritardo giudiziario nel mettere in pratica gli atti necessari. L’omicidio colposo di un bambino non dovrebbe mai essere prescritto...».

Gosdan parla dell’intervento che era stato definito di routine. Ricorda, le lacrime agli occhi, che quella era una domenica di Carnevale, in cui sarebbe dovuto andare con i nipotini a vedere la sfilata dei carri di Muggia. «È stato pazzesco. Di regola l’operazione sarebbe dovuta durare 45 minuti e invece è finita dopo due ore e mezza quando un’infermiera è andata ad avvisare mia figlia. Avevano perforato i bronchi».

L’uomo cita anche la figlia, che per veder nascere Riccardo e il fratellino si era sottoposta all’inseminazione artificiale. «Quei bambini erano voluti. Non sono nati per caso. Da 16 anni mia figlia li cercava. Ne erano arrivati due, di figli, l’antivigilia di Natale. Due gemelli: un regalo bellissimo che ci aveva dato tanta felicità. Poi quella maledetta broncoscopia. E ora la rabbia della prescrizione».

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