La dinastia Soranzo in festa per i cent’anni della bottega

Tutto iniziò nel 1916. Angelo, che all’epoca ancora non faceva di cognome Soranzo - come un decreto ministeriale del 1930 avrebbe in seguito imposto, italianizzando gli appellativi di grafia non italiana -, ma Saranz, acquistò due edifici in piazza della Repubblica, dove già esisteva il bazar “Manifatture mercerie Missio”. Trentaquattro metri quadri di scaffali e contenitori, destinati a diventare negli anni a venire un punto di riferimento per la città e i suoi abitanti. Prima affidato ai figli Enrico, Giuseppina e Maria, poi anche a Isidoro, Virginia e Nives, il bazar vendeva un po' di tutto, tranne i generi alimentari. Quindi abbigliamento, cartoleria, strumenti da lavoro, giocattoli e perfino... le bare. Una volta funzionava così. Non c’erano, del resto, molte botteghe in giro.
Il capostipite Angelo se ne è andato ormai da tempo. E con lui anche il figlio Isidoro, che chi ha i capelli bianchi ancora ricorda dietro il bancone di piazza grande, assieme all’inseparabile moglie Lucia. Ma il negozio c’è ancora. E oggi, con un cin cin davanti alle vetrine dalle 11.30 alle 13, taglia l’ambitissimo traguardo dei cent’anni di ininterrotta attività. Il testimone è passato da un pezzo in mano al nipote Loreto Soranzo, che dopo aver speso un'esistenza tra abiti, giocattoli, calze e pizzi, ha delegato la vendita dietro il bancone alle sue commesse, occupandosi solo della contabilità.
Il titolare corona un 2016 da incorniciare: un secolo del marchio “Saranz”, a settembre cinquant’anni di felice unione con Adalgisa - per tutti Ada - moglie e compagna d'affari, che non lesina fatiche al servizio dei clienti, e a novembre le prime ottanta primavere. Senza tralasciare il fatto che proprio in questi mesi cade anche il sessantesimo della conduzione dietro al bancone. Insomma, dodici mesi da record. A festeggiare, oggi in piazza della Repubblica, sono invitati tutti. E si attende una folla. Anche perché quale bisiaco non ha mai comprato almeno un bottone o una mascherina di Carnevale da “Saranz”? O ancora, a Capodanno, un fuoco d’artificio, visto che il negozio è l’unica rivendita autorizzata nel mandamento? Naturalmente la chiamata in piazza per il brindisi ufficiale vale anche per le autorità, in particolare il sindaco Silvia Altran e l’assessore al Commercio Paola Benes.
«La mia vita è stata questo negozio - afferma Loreto Soranzo -, ne avrei di anneddoti da raccontare...». Affacciate su piazza della Repubblica, le vetrine inossidabili di “Saranz” sono vicinissime ai palazzi del potere, e per questo Loreto Soranzo ha sempre avuto una visuale privilegiata sulla città. «Oggi un po’ meno, visti gli interminabili lavori del municipio: siamo “oscurati”...», commenta con immancabile ironia. Ma il bilancio dell’attività è sempre positivo, anche umanamente parlando. «Il contatto quotidiano con le persone - spiega la moglie Ada - ci ha dato sempre tanta energia. Un ringraziamento va soprattutto a loro, ai nostri clienti. Certo è una gran bella soddisfazione arrivare al secolo di attività». Di certo non sono molti gli esercizi che ci sono arrivati. Infatti il negozio di mercerie della piazza è tra i più antichi in città, assieme alla ferramenta “Mazzoli” di corso del Popolo.
Senz’altro negli anni si è trasformato: dai 34 metri quadrati iniziali è passato agli attuali 200, di cui 100 destinati alla vendita, mentre la rimanente parte è lasciata a magazzino e caveau (creato nel 1991 come deposito dei fuochi d’artificio). La prima grande trasformazione arrivò però nel 1956, quando in bottega c’era il padre Isidoro, con la sopraelevazione del secondo edificio, unificato all’immobile costruito all’angolo di via Sant'Ambrogio. L’ultimo ammoderanamento ai primi anni Novanta.
Monfalconese doc (abita ancora nella casa di via Duca d'Aosta dove è nato 79 anni fa), cresciuto dai salesiani di Gorizia, Loreto Soranzo ha saputo accudire amorevolmente un’attività come si fa con una pianta. L’avrà aiutato quello stesso pollice verde che ogni mattina lo fa alzare all’alba, assieme alla moglie, per accudire l’orto. Per un giorno, forse, soprassiederà dal rigirar le zolle: oggi è una gran festa. Per tutti.
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