L’ultima lettera di don Maks «La mia colpa irrimediabile»

«Chiedo solo perdono… Dio abbia pietà di me». Cinque pagine scritte a mano, di getto, indirizzate all’arcivescovo Giampaolo Crepaldi. Un mea culpa in cui si parla di molestie «che hanno provocato profonda sofferenza». Un altro foglio, stavolta in sloveno, per spiegare il gesto finale. Il suicidio. «La soluzione migliore…». Accanto un testamento. Don Maks Suard, il parroco di Santa Croce accusato di pedofilia, si era ucciso con una corda al collo il pomeriggio di martedì 28 ottobre. A scoprire il cadavere, nella soffitta della canonica, Crepaldi in persona. Il presule si era accordato per un appuntamento, un incontro per avviare un procedimento e la rimozione dagli incarichi. Una vicenda buia, che aveva sconvolto per settimane la Diocesi, la comunità slovena e l’intera città. Il fatto risaliva a diciassette anni prima, quando la ragazzina era tredicenne. Era tornato a galla a ottobre dopo che la giovane, oggetto in passato delle attenzioni del sacerdote, aveva deciso di appellarsi al vescovo e quindi ai carabinieri. La ragazza, ora trentenne, avrebbe voluto tutelare in questo modo una nipotina che si era trovata come insegnante di religione a scuola proprio il prete di cui lei è stata vittima nel lontano ’97 in parrocchia, a Sant’Antonio in Bosco.
Oggi, a cinque mesi di distanza, la famiglia autorizza la pubblicazione delle lettere lasciate da don Maks prima di togliersi la vita. Documenti entrati negli atti dell’indagine, che solo gli investigatori finora avevano visto e analizzato. Incrociando le date si può desumere che Suard aveva iniziato a preparare tutto già qualche giorno prima, il 25 ottobre, dopo un primo colloquio con Crepaldi. Il suicidio era stato pianificato con lucidità. Tanto che in un altro foglio, scritto in sloveno il giorno prima della morte, Maks decide di abbandonarsi a un’ultima riflessione. Parole di addio, in cui annuncia ciò che avrebbe fatto poche ore dopo: «La vita comincia a essermi pesante…mi scuso per il gesto, ma credetemi questa è la soluzione migliore. Dio mi perdoni». Si rivolge al papà, ai giovani di Santa Croce e a «tutti coloro che mi volevano bene». «Ricordatemi nella preghiera. Ci vediamo dal buon Signore». Ma è nelle cinque pagine, quelle indirizzate a Crepaldi, che oggi possiamo capire di più su quei fatti.
Il parroco si guarda dentro nel profondo, ma attorno a sé non riesce a scorgere alcuna possibilità di riscatto e perdono. C’è lui, con i suoi ricordi. Lui, la penna in mano e il pensiero del suicidio. Quelle righe che scrive, rivela, gli erano state chieste dal vescovo stesso. Il sacerdote ripercorre quegli anni, quando «prete novello» era stato mandato nella parrocchia di Sant’Antonio in Bosco. Tra i chirichetti c’era anche una ragazzina. Ne fa il nome, che non riportiamo per ovvie ragioni. «È accaduto talvolta che lei fosse sola - riprende Suard - sono stato colpito dalla sua gentilezza, sensibilità e intelligenza». Maks deve aver avuto all’incirca trent’anni, la ragazzina tredici.
«Dimenticando la sua età ho avuto una sbandata», ammette. Una sbandata «che in una situazione di età diversa mi avrebbe portato a rinunciare al mio stato clericale. Il mio interesse era, e probabilmente è, per quella persona e non per la sua giovane età». Un aspetto, questo, su cui il parroco insisterà in un altro passaggio. «Ancora rimpiango di non aver mantenuto le dovute distanze». Il sacerdote si rende conto dell’età della ragazza, «il che mi ha portato a un periodo di profonda afflizione e dolore, nel quale ho più volte pregato il vescovo di essere trasferito o di passare ad altre diocesi».
Ravignani, allora presule di Trieste, sapeva? Conosceva il motivo della richiesta di trasferimento? «No», aveva dichiarato qualche mese fa su precisa domanda. Maks, subito sotto, torna quindi a rivolgersi a Crepaldi con piena consapevolezza della gravità di ciò che era accaduto in parrocchia tra lui e l’adolescente: «Ascoltando le vostre parole ho compreso che quanto successo all’epoca erano molestie e che sono state recepite come tali provocando profonda sofferenza dalla quale sono responsabile io». Nella lettera Maks riconosce dunque le «molestie», non parla mai di abusi. Il suo approccio e le sue attenzioni le inquadra così.
«Dopo i fatti - continua - io ho confessato il mio peccato, con il proposito di non ricadere mai più. Ripeto che il mio interesse era per quella persona e non per la sua età. In questo peccato non sono mai più incorso». Don Maks racconta di aver incontrato, anni dopo, la giovane. L’attrazione e il sentimento non erano mai svaniti, a quanto pare leggendo più avanti. «Mi sono guardato dal manifestare il mio interesse, nonostante fosse più che maggiorenne. Non volevo creare altri turbamenti». Il prete spiega di aver parlato del passato con la ragazza, «riconoscendo la mia colpa, ho chiesto perdono». Ci sono altre tre pagine, piene di costernazione, rivolte alla giovane, alla famiglia, alla chiesa e al vescovo.
«Purtroppo le occasioni perdute non ritornano più e non sono capace di rimediare al male fatto. Il dolore mi accompagna da allora». In un ultimo passaggio don Maks ritorna sulla sua debolezza e su quei momenti in parrocchia. «In quel periodo ho confessato anche lei. Non ricordo di aver impartito l’assoluzione per quei fatti, anche perché non mi sarebbe consentito. A lei ho detto che ero l’unico ad aver commesso peccato». Erano gli anni in cui il prete si era trovato ad accudire la mamma malata, «un momento di calore umano mi ha fatto cadere in una tentazione, le cui conseguenze odio con tutto il cuore. Dio abbia pietà di me».
Il papà, Giorgio, si passa i fogli tra le mani, ha il volto fermo. «Mio figlio non era un pedofilo», dice. «Rapporti sessuali veri e propri non ce ne sono stati… qualche attenzione, forse qualche carezza... non so. Ma rapporti no…». La certezza, o presunta tale, deriverebbe da alcuni racconti che il padre avrebbe avuto in seguito da due sacerdoti, uno della comunità slovena attualmente in carica, e il confessore di Maks.
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