Quegli amori che la Luminosa di Trieste ha visto nascere

Ecco il racconto che un nostro lettore ci ha voluto inviare
Furio Treu
Se solo potesse parlare... Un ragazzo, una ragazza e le storie infinite della Luminosa di Trieste
Se solo potesse parlare... Un ragazzo, una ragazza e le storie infinite della Luminosa di Trieste

Ne ho vista passare di gente qua, intorno a me. Chi a guardarmi da un lato, chi dall’altro, ma non mi ha mai dato fastidio questo andirivieni di persone. Anzi, le studiavo, attenta, e quello che all’inizio era un passatempo poi è diventato quasi uno studio antropologico sull’umanità che mi osservava, non sapendo di essere a sua volta guardata.

La nuova Luminosa di Trieste è quasi pronta: verrà montata in estate. I ricordi dei lettori
In alto, come sarà la nuova Luminosa di via Carducci a Trieste; a destra e imn basso la Lumnosa negli anni Settanta immortalata dal lettore Flavio Eller

Ho visto gente di tutti i tipi. Ricordo con dolcezza due ragazzini. Lui, sui 16 anni, capelli tenuti fermi da un filo di brillantina, jeans e maglia dolcevita. Lei di uno, forse due anni più giovane, con gonna a pieghe al ginocchio, scarpe basse, con le grazie femminili poco più che accennate. «Ciao, quanto tempo hai?». «Non più di due ore: ho detto a mia mamma che andavo da Nives a studiare, in effetti il latino in prima ginnasio è più duro».

E poi via, tenendosi furtivamente per mano, in alto del Viale a cercare una panchina libera. Si vedevano un paio di volte alla settimana, mai la domenica.

Il Castello di Miramare in vendita, ma l’annuncio sulla Luminosa era un pesce d’aprile
La Luminosa con la pubblicità prima della sua dismissione

A quei tempi la domenica i ragazzini la passavano con i genitori. Si andava fuori a pranzo in Carso, il papà con la 128 nuova, pagata in parte dando dentro la 600 e in parte firmando cambiali, tutto orgoglioso parcheggiava a Basovizza, a Banne o Prosecco davanti al ristorante e si attardava a scendere fino a che non passava qualcuno al quale sottovoce diceva: «Guarda, ho una 128 nuova, si vede dalla targa Ts...».

La domenica pomeriggio, arrivavano invece i militari in libera uscita, ventenni o poco più. A sentirli parlare ho imparato a capire presto da dove venivano: sentivo la parlata sarda, l’accento pugliese, il napoletano stretto. E stavano lì a guardarmi e fare infinite discussioni su quale film vedere, con dispute su “Giovannona Coscialunga” oppure “Alle dame del castello”.

Spesso si separavano un pochi in un “cine”, un gruppetto in un altro. Altri film, altre storie. C’erano i primi 007, quasi sempre al Fenice, con la coda degli spettatori in attesa che il cinema aprisse che arrivava ben oltre la galleria, in via Battisti. Poi c’era un altro gruppo di giovani, la compagnia, come si chiamavano fra di loro. Anche qui tante discussioni.

«Prendiamo il tram 6 e andiamo a Barcola a fare una passeggiata», suggeriva uno di loro. «Io andrei in cine», proponeva un altro guardando con un sorriso la ragazzina con la quale si era da poco messo assieme. E lei, arrossendo un po’ a sostenere questa proposta, si immaginava già vicino a lui nella complicità del buio a conoscere i primi turbamenti. C’è un episodio che a ricordarlo me ne rallegro ancora. Lunedì di Pentecoste, giornata festiva in Austria. Un signore mi gira un po’ intorno interdetto.

Poi si avvicina a due signore, una con in mano la rivista Grand Hotel, l’altra Confidenze, e con estrema cortesia dice loro: «Bitte, ich muss nach San Giusto (per cortesia, devo andare a San Giusto)». «Cossa? Muss, San Giusto che iera un santo, muss la sarà lei», gli risponde una delle due, che rivolgendosi all'amica: «Ma guarda tu che gente: bon, andiamo a prendere una berlina da Zampolli che hanno messo fuori i tavolini».

Penso spesso ai giovani che nel corso degli anni ho visto attorno a me, chissà cosa ha riservato loro il destino, se sono stati capaci di crearsi una vita pulita, onesta. Magari qualcuno passa ancora di qua, con meno capelli in testa e più anni sulla carta d’identità. Alcuni li riconosco: sono quelli che si fermano, mi guardano, scuotono la testa, chiudono un attimo gli occhi e li sento dire, anche se è la voce dell’anima che parla: «Che bei ricordi, che bel che iera».

Quanti sono arrivati fin qui con la lettura si chiederanno chi sia a raccontare tutti questi aneddoti. Giusto, devo presentarmi: sono la Luminosa, proprio quella Luminosa di cui si parla e si legge in questi giorni. Questi sono i miei ricordi. Mi ha aiutato a rievocarli uno di quei ragazzi di allora, uno che i capelli li ha ancora, ma sono bianchi e la carta d’identità che ha in tasca gli pesa, tanti sono gli anni che ci sono scritti sopra. —

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