A Gorizia una mostra su elmi e scudi nella Grande guerra

GORIZIA. Che la prima guerra mondiale vada considerata come l’anticamera violenta della modernità è ormai un assunto scontato anche se, come nota Emilio Gentile, il rapporto fra Grande guerra e modernità non è stato ancora oggetto di uno studio specifico e sistematico. La Grande guerra fu “moderna” essenzialmente perché fu una guerra nuova: guerra di massa, totale, industriale, tecnologica. Antonio Gibelli l’ha definita «un corso accelerato e violento di modernità imposto a milioni di uomini in situazioni estreme di sradicamento e di minaccia per la vita, di sofferenza e di dolore» (“L’officina della guerra”,Bollati Boringhieri, 2007).
Ma per capire meglio il significato di questa modernità, il primo passo è forse cominciare a leggere nel dettaglio la storia militare, disciplina in Italia ancora considerata di secondo piano rispetto alla storia politica e diplomatica. Eppure è lì, sui campi di battaglia, che spesso si trovano le tracce più certe per mettere a fuoco significati e ragioni di un conflitto e dei suoi esiti. Basta vedere la mostra “L’illusione dell’acciaio - Soldati, elmi, scudi e corazze sul fronte dell’Isonzo 1915 - 1917”, che si inaugura domani a Gorizia, alle 17.30, alla Scuderie di Palazzo Coronini Cronberg (fino al 9 dicembre, da martedì a domenica 10-13 e 14-19), allestita a cura dell’Isonzo Gruppo di Ricerca Storica, che nell’occasione presenta anche il libro di Pierpaolo Cocianni “Gli elmi austro-ungarici nella Grande guerra”. È una delle prime fra le molte rassegne che ricorderanno da qui ai prossimi due anni il centenario della Grande guerra, ed è, essenzialmente, un’esposizione sulla storia delle protezioni in acciaio e degli elmetti. Detta così può sembrare una trascurabile messa a fuoco su una realtà di dettaglio. E invece è proprio l’analisi di come la violenza del conflitto si abbattè - letteralmente - sulle teste dei soldati, a spiegare meglio di qualsiasi teoria cosa fu l’irrompere della modernità in Europa, una rivoluzione dell’idea di guerra di cui ancora oggi paghiamo il prezzo.
Come notano i curatori, quando il 24 maggio del 1915 i sodati italiani si avviano al fronte indossano il berretto in panno di lana grigio verde, oppure con i copricapo tradizionali, come il cappello da alpino, quello da bersagliere, da carabiniere, tutti in tessuto. A parte una serie di armi nuove come le prime mitragliatrici e i cannoni a tiro rapido, quando milioni di soldati si avviano al macello i modelli ispiratori degli eserciti della vecchia Europa sono di fatto ancora quelli napoleonici: fanterie che attaccano alla baionetta in ordine chiuso al ritmo dei tamburi, la cavalleria come massa di sfondamento, l’artiglieria mobile e leggera per accompagnare sul campo l'evoluzione dei combattimenti. «La guerra - spiegano all’Isonzo Gruppo di Ricerca Storica - è ancora concepita come episodio di breve durata e manovriera quanto basta a impegnare il nemico in battaglie circoscritte e infine in quella risolutiva che piega l'avversario alla resa». L’arma più efficace in campo è considerata ancora la baoinetta. Ma l’illusione durerà poco: l’azione combinata mitragliatrice-reticolato blocca qualunque assalto in massa, sia di fanteria che di cavalleria, la guerra di movimento secondo gli schemi ottocenteschi diventa di posizione al prezzo di decine di migliaia di morti. Compaiono nuovi micidiali ordigni in grado di devastare le trincee e i loro occupanti, come cannoncini di piccolo calibro capaci di abbattere gli scudi d'acciaio e lanciamine dalla gittata sufficiente a finire oltre la terra di nessuno. Ma soprattutto fa presto il suo debutto la bombarda, in grado di disintegrare vaste porzioni di reticolato. Fino ad allora al filo spinato ci pensava il Genio Zappatori con le “Compagnie della Morte”, soldati coperti da elmi e pesantissime corazze d'acciaio simili alle armature medioevali. Ora le nuove artiglierie devastano tutto, comprese le teste dei soldati che spuntano dalle trincee. In seguito allo spaventoso numero di morti registrato nelle prime battaglie del 1914 i servizi sanitari dei Paesi in guerra si accorgono che la maggior parte delle perdite dipende in effetti da ferite alla testa, di cui circa l’80% per schegge di granata o pietrisco, mentre non più del 20% per impatto diretto di proiettili di armi leggere. Gli Stati maggiori capiscono che se si vuole continuare a combattere la prima cosa da fare è proteggere la testa dei soldati. Inziano così, in Italia come in Austria, in Germania come in Gran Bretagna e Francia, studi ed esperimenti per realizzare copricapo metallici: gli elmi, la cui presenza sui campi di battaglia era scomparsa dal 1500, proprio in seguito all’avvento delle armi da fuoco.
L’esercito francese è il primo a realizzare una calotta metallica detta cervelliera, da inserire sotto il chepì, un arnese piuttosto scomodo, e soprattutto inefficace, che verrà presto abbandonato. Nel frattempo viene adottato l’elmetto modello 1915 Adrian, dal nome dell’intendente generale che lo ha ideato. In acciaio speciale, pesa 750 grammi e protegge il capo del soldato da piccole schegge o dalle “formidabili sinfonie degli Shrapnel”, come le chiamava Marinetti. Alla fine del conflitto l’Adrian risulterà essere l’elmo più diffuso al mondo, con venti milioni di pezzi prodotti per la Francia e i propri alleati, prima fra tutti l’Italia, che adotta subito l’Adrian importandolo da Parigi. Solo nel 1917 il Regio Esercito realizzerà l’italianissimo “Elmetto metallico leggero modello 1916”, molto simile all'Adrian francese, a parte il minor numero delle componenti, assemblate tramite saldatura elettrica e non ribattinate. Gli inglesi, intanto, adottano l’elmo progettato da John Leopold Brodie, dalla tipica forma a catino rovesciato detto “cappello da trincea” o “bombetta da combattimento”, che verrà poi esportato negli Stati Uniti. Ma sono i tedeschi i migliori produttori di elmetti. Con l’ efficienza che li contraddistingue, avviano una serie di studi approfonditi grazie al capitano Friedrich Schwerd, che raccoglie le osservazioni e raccomandazioni craniologiche del medico August Bier. Il risultato sarà, alla fine del 1915, un elmetto universalmente considerato il più efficace tra tutti: protegge la testa, il collo e le spalle del soldato in trincea dalle schegge degli obici, dal terriccio e pietrisco proiettati dalle esplosioni pur presentando un peso ancora sopportabile (poco oltre 1 kg). Prodotto con una lega di acciaio speciale al nickel- cromo, la sua particolarità sta nel fatto che, se colpito da schegge o tiro diretto, nessun frammento metallico si distacca penetrando nella testa del soldato. Nella forma, è molto simile a quelli usati oggi dall gran parte dei modernissimi eserciti delle più moderne guerre che affliggono tanta parte del nostro mondo.
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