A Sarajevo la storia dell’assedio diventa attrazione turistica

Quasi 360mila i visitatori nel 2015, nove su dieci interessati ai luoghi simbolo della tragedia del 1992-1996: dal “Vicolo dei cecchini” al museo del “tunnel della speranza”

ZAGABRIA. Nove turisti su dieci vanno a Sarajevo per vedere i luoghi dell'interminabile assedio che la città martire delle guerre balcaniche subì nei primi anni Novanta. Lo dicono le statistiche dell'Ufficio turistico della capitale bosniaca, che stima a quasi 360mila i visitatori giunti nel 2015. «Non si ricordano più dei Giochi olimpici invernali che si tennero qui nel 1984 e vedono la Prima guerra mondiale come qualcosa di lontano. Quello che interessa loro» è il recente passato bellico della città, ha dichiarato al portale regionale Birn la portavoce dell'Ufficio turistico, Asja Hadziefendic Mesic. Anche se i fatti degli anni Novanta - assicura la stessa portavoce - non hanno una posizione privilegiata nelle brochures e nei dépliant distribuiti, la loro risonanza rispetto ad altri eventi storici avvenuti a Sarajevo è decisamente maggiore. Persino l'uccisione dell'Arciduca austriaco Francesco Ferdinando per mano di Gavrilo Princip (avvenuta proprio nel centro di Sarajevo nel 1914) non interessa quanto il "tunnel della vita", la Biblioteca nazionale ricostruita o le tracce lasciate dai bombardamenti.

 

 

Il percorso sotterraneo che fu scavato nella primavera del 1993 per collegare l'aeroporto al quartiere di Dobrinja è una delle mete più ambite: i visitatori sono saliti dai 55mila del 2012 ai 120mila del 2015. Lungo circa 800 metri, questo cunicolo di un metro di larghezza e 1,60 di altezza servì a trasportare durante il lungo assedio di Sarajevo (1992-1996) materiali di ogni tipo, dai medicinali al cibo alle armi, per un totale di 20 tonnellate al giorno. Allo stesso modo il tunnel fu attraversato da una media di 4mila persone al giorno, per un totale di oltre 1,3 milioni, permettendo in particolare il collegamento tra i diversi reparti delle forze armate bosniache dentro e fuori la città. Il "tunel spasa", letteralmente "tunnel della speranza", fa oggi parte di un museo interamente dedicato agli anni della guerra e i suoi primi venti di metri sono aperti al pubblico.

 

Un soldato delle forze speciali bosniache risponde al fuoco dei cecchini durante l'assedio a Sarajevo in una foto senza data. ANSA
Un soldato delle forze speciali bosniache risponde al fuoco dei cecchini durante l'assedio a Sarajevo in una foto senza data. ANSA

 

Anche la Vijecnica ha recentemente riaperto le sue porte. Quest'edificio simbolo della capitale bosniaca, completato a fine XIX secolo e utilizzato prima come municipio e in seguito come biblioteca nazionale, fu completamente distrutto nel 1992: un rogo che causò la distruzione di migliaia di libri e manoscritti. Dopo quasi dieci anni di lavori, la nuova biblioteca è stata inaugurata nel 2014 e proclamata monumento nazionale. Come la Vijecnica, simbolo dei bombardamenti di fine Novecento, anche il mercato aperto di Markale fa parte del cosiddetto "tour guidato della guerra", organizzato dall'Ufficio turistico di Sarajevo per 25 euro. A Markale, in pieno centro a pochi metri dalla cattedrale cattolica, i colpi di mortaio fecero due enormi stragi, nel 1994 (più di 60 morti) e nel 1995 (43 vittime). Quest'ultimo episodio portò la Nato a decidere di attaccare le postazioni serbo-bosniache nel secondo semestre del 1995.

Un'altra zona di Sarajevo che i turisti vogliono vedere è Ulica Zmaja od Bosne, meglio nota come la "Sniper's alley", ovvero il vicolo dei cecchini durante i primi anni Novanta. Questa strada che scorre parallela alla Miljacka - il fiume che attraversa la capitale bosniaca - era ai tempi del conflitto costantemente presa di mira dai tiratori scelti serbi. Ed è anche il simbolo della resistenza della cittadinanza che, in un assedio che secondo le stime fece circa 12mila morti, continuò a vivere la propria quotidianità e non abbandonò la capitale (i cartelli "Pazi - Snajper!", "Attenti ai cecchini!", segnalavano gli incroci più pericolosi).

Sarajevo non è l'unica città dei Balcani a vivere un turismo legato (anche) alle guerre degli anni Novanta. A Mostar lo Stari Most, il ponte ottomano distrutto nel 1993 dalle forze croate e ricostruito nel 2004, fa parte dei vari "war tour" proposti dalle agenzie turistiche cittadine. A Vukovar, in Croazia, un'iniziativa simile è organizzata tra la Vodotoranj, la torre dell'acqua crivellata dai mortai e simbolo dei tre mesi di assedio, l'ospedale comunale (oggi museo) e la vicina località di Ovcara, luogo del massacro di oltre 200 persone dopo la caduta della città. Un museo della guerra ricorda l'attacco di Ragusa (Dubrovnik), sulla costa dalmata, mentre a Belgrado delle guide private propongono un percorso tra gli edifici bombardati dalla Nato nel 1999 e tuttora in piedi nei diversi quartieri della capitale.

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