A scuola il labirinto della maturità 2020 «Qui sembra di stare in una base militare»

Marco Bisiach
Il contesto è tutto nuovo, e assomiglia «quasi più a quello di una base militare, un edificio di massima sicurezza», piuttosto che a quello di una scuola dicono i ragazzi. Le emozioni e le storie, il lato umano, sono invece quelle di sempre, quelle di ragazzi e ragazze che sono pronti a issarsi (o l’hanno appena fatto) sopra l’ultimo scoglio della loro infanzia, dell’esperienza alle superiori. Per poi guardare oltre, dove in fondo il pensiero e la testa vanno già, al lavoro o all’università. Al futuro, insomma. E così anche in questi ultimi giorni d’esame di maturità ci si perde per poi ritrovarsi, ad esempio all’istituto professionale Cossar-Da Vinci di viale Virgilio, prima disorientati dalle novità legate ai protocolli di sicurezza imposti dall’emergenza Covid-19, poi al solito rapiti dalle parole che escono dalla bocca dei maturandi, arrivando però direttamente dalle loro pance, dai loro cuori, nelle ore tanto attese e tese degli esami orali.
Entrando, nel grande edificio dell’istituto, ci si imbatte nel piccolo labirinto di fettucce bianche e rosse, frecce e cartelli, che disegnano i percorsi riservati in accesso, per studenti e docenti, che non si devono incrociare con quelli d’uscita. Ci vuole allora un pizzico di fortuna per incrociare, appena in tempo, una maturanda ormai di fatto “matura”, appena uscita dal confronto con la commissione. «Direi che è andata bene – allarga il sorriso, finalmente rilassata, Alice Murgut, della 5Bs –. Ho iniziato presentando il mio elaborato, poi sono arrivate le domande di italiano e soprattutto quelle di storia, che erano un po’ il mio punto debole, mentre con l’inglese me la sono cavata. È stato un esame strano, sicuramente molto diverso da quello che avremmo immaginato: da un lato non dover affrontare gli scritti ci ha agevolato, ma dall’altro prepararsi alla maturità a distanza, senza seguire le lezioni in aula e senza il contatto con i professori, è stato davvero complicato». Alice confessa di essere quasi sorpresa di quanto veloce sia passato quest’ultimo, complicato anno di scuola, ma ha le idee già piuttosto chiare sul domani: «Comincerò subito a lavorare, sarò una terapista occupazionale, ovvero una figura di sostegno per anziani o malati. Questa è la mia strada».
Salendo le scale che portano al secondo piano del Cossar-Da Vinci, si passa dal sollievo delle parole di Alice all’ansia di quelle di Valentina Paoluzzi, anche lei della 5Bs, che l’esame sta per affrontarlo. «Sono agitatissima, e quasi non mi rendo conto di essere già arrivata a questo momento, dopo tutti questi mesi così strani – racconta Valentina, che sogna un giorno di poter lavorare come psicoterapeuta a contatto con i tossicodipendenti, per poterli aiutare a vincere la loro battaglia personale, e per questo pensa di andare a studiare Psicologia a Bologna –. In me convivono tante sensazioni diverse, ma tre queste anche un po’ di rammarico per non aver potuto vivere a pieno questo finale delle superiori a causa della pandemia, perdendo momenti come la gita di quinta, la festa fine anno, la quotidianità con i compagni». «È vero, l’amarezza è proprio questa: tutti noi sognavamo di sentire l’ultima campanella dell’ultimo giorno dell’ultimo anno di scuola – osserva anche l’amica Gaia Blasizza, che è stata tra le prime della classe ad affrontare l’orale, il secondo giorno, e ora dà sostegno morale a Valentina –. Ma questo è già il passato: ora mi attende un corso per operatrice socio sanitaria. Avrei voluto fare l’ostetrica, ma il percorso sarebbe molto lungo e incerto, mentre credo che la mia scelta sia più concreta e mi possa offrire opportunità di lavoro immediate». –
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