A settant’anni dalla nascita ottiene il cognome paterno

Nessun test del Dna per stabilire la paternità ma solo - e questa è la novità - la testimonianza in aula di chi aveva conosciuto quella famiglia, di chi ne aveva fatto parte. Per dimostrare che l’uomo...
Di Corrado Barbacini

Nessun test del Dna per stabilire la paternità ma solo - e questa è la novità - la testimonianza in aula di chi aveva conosciuto quella famiglia, di chi ne aveva fatto parte. Per dimostrare che l’uomo indicato che viveva con loro era proprio suo padre.

Così ha deciso il giudice Anna Fanelli che ha presieduto il collegio composto da Mauro Sonego e Francesco Saverio Moscato al termine di una vicenda giudiziaria che si è snodata in numerose udienze in Tribunale.

Protagonista Enrico Quirico Di Bari, classe 1921, morto nell’anno 2003. Che in vita non aveva mai riconosciuto (perché per le norme di allora non poteva farlo) la figlia Rossana Daniela, avuto al di fuori del matrimonio. Figlia che ora, proprio in forza della sentenza, porta il suo cognome.

Tant’è che alla nascita della bambina avvenuta nel 1946 solamente la madre Eleonora Anna Savini aveva proceduto al riconoscimento della minore. I due si erano conosciuti nel 1945 al ritorno dell’uomo dal campo di concentramento di Dachau. E infatti la piccola aveva assunto solo il nome della madre.

Si legge nelle motivazioni della sentenza: «Gli esiti delle prove orali, per l’attendibilità e la concludenza delle fonti, risultano rappresentativi di elementi indiziari che, immediatamente raccordati tra loro, forniscono un riscontro ampio, e quindi più che sufficiente, della paternità attestando con sicurezza» l’identità del padre. Per questo non è stato necessario effettuare alcun test del Dna.

Ma ora, a quasi settant’anni di distanza, la figlia si è rivolta al Tribunale per fare chiarezza. E l’ha avuta. Anche per ottenere la propria quota di eredità. Quella che le spetta, adesso per legge.

Nell’istanza che ha attivato il procedimento civile inizialmente era stata chiesta al giudice la nomina di un consulente tecnico per l’estumulazione della salma di Enrico Quirico Di Bari e addirittura quella di un altro parente deceduto pochi anni fa. Questo allo scopo di effettuare il test del Dna. Sarebbe stata questa l’unica strada scientifica, tecnicamente certa per dimostrare la paternità naturale.

Ma - come detto - per i giudici del collegio del Tribunale civile non lo hanno ritenuto necessario. È bastato infatti il racconto testimoniale di chi ha vissuto in quella casa. Di chi - a prescindere dalla prova del Dna - ha ricordato in aula l’amore di quell’uomo per una bambina nata nel primissimo dopoguerra, frutto, come osserva il collegio, di una relazione more uxorio.

E quindi all’epoca da tenere nascosta. Ma l’uomo - così si evince dagli atti - aveva solo provveduto successivamente ad affiliarla. Senza però poterle darle il suo cognome e i suoi beni.

Ha prevalso insomma la verità della parola. Infatti a fare da testimoni in aula sono stati gli altri due fratelli e il marito di Rossana Daniela.

Si legge nella sentenza: «La madre dell’attrice (ndr Eleonora Savini) e Quirico Di Bari ebbero un legame sentimentale e di convivenza di lunga durata.

E anche dopo che venne meno la comunione di vita e cioè nel 1966 quando Rossana Daniela si sposò, Quirico Enrico non smise mai di trattarla come figlia».

E questo basta per ufficializzare la paternità. Anche senza alcun documento ufficiale. (c.b.)

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