«Addio Opg, avanti con il diritto alla cura» VIDEO TRAILER

Cecconi: si apre un periodo di transizione, la condanna per il reato va contemperata con l’opportunità delle terapie

TRIESTE. Il coronamento del lavoro di Franco Basaglia. E al contempo solo una tappa del lungo cammino dell'Italia verso una cura efficace delle persone affette da patologie mentali. La chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, un abisso nel panorama spesso oscuro del mondo carcerario italiano, è fissata per oggi. Eppure molte regioni non si sono ancora attrezzate per affrontare questo cambiamento. Ci vorrà del tempo, assicura Stefano Cecconi, portavoce del comitato StopOpg che nel novembre 2013 copromosse il “Viaggio di Marco Cavallo” in Italia per chiedere la chiusura degli Opg. Viaggio divenuto anche un film che sarà proiettato domani al Senato.

Cecconi, la campagna "Stop Opg" è stata uno dei fattori determinanti per arrivare a questo risultato. Da quanto dura la vostra battaglia?

Il percorso è molto lungo perché la seconda riforma di Basaglia per l'abolizione dei manicomi giudiziari era rimasta incompiuta. Una tappa importante c'è stata negli anni ’90, quando la legge Bindi ha trasferito gli Opg dalla competenza della sanità penitenziaria alla sanità pubblica.

Poi cos'è successo?

Quella misura è rimasta in sospeso fino al 2008, quando è stato emanato il decreto Prodi che ha descritto sia le modalità del passaggio al servizio nazionale, sia il percorso per una progressiva chiusura. Una chiusura da effettuarsi attraverso i servizi alternativi all'internamento e, in alcuni casi, anche attraverso forme speciali di detenzione. La detenzione resta perché è immutato il codice Rocco, il nostro codice penale che prevede che il magistrato possa optare ancora per la detenzione per incapaci di intendere e volere.

Per qualche anno, però, il percorso si è impantanato.

Sì, poi è ripartito. In contemporanea ci sono state l'indagine della commissione del Senato presieduta da Ignazio Marino e una campagna di denuncia fatta da tanti operatori del settore, nel cui ambito è nato il comitato StopOpg. Due fatti che hanno riaperto la questione, finalmente arrivata all'opinione pubblica: in tv si è vista la realtà riprovevole degli Opg. Anche l’allora presidente della Repubblica ne ha auspicata la chiusura, definendoli "luoghi indegni".

Questo ha portato a dei cambiamenti legislativi che hanno creato la svolta.

Il primo è la legge Mauro del 2012 che ha stabilito la data di chiusura degli Opg, più volte posticipata fino a oggi. Quella legge ha avuto il pregio di trattare la questione dicendo chiaramente che quei luoghi andavano chiusi. Di negativo c'è che prospettava strutture alternative in ogni regione che han finito per delinearsi come piccoli Opg (sono le Rems, Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria, ndr). C'è stata una reazione molto forte da parte del nostro comitato e delle associazioni per respingere questa scelta.

Voi cosa sostenete?

Per noi la chiusura degli Opg deve essere fatta al di fuori della logica manicomiale. Siamo riusciti a far approvare una modifica: si è stabilito che la detenzione, sia in Opg o in Rems, dev'essere l'estrema ratio. Alla persona malata di mente che commette un reato va assicurato un processo di cura, secondo i principi stabiliti già dalla riforma di Basaglia messa in atto in modo eccellente nell'esperienza triestina del San Giovanni. Poi con la legge 81 del 2014 si è riusciti a spostare il baricentro degli interventi sul territorio.

Ora a che punto siamo?

Ora finalmente chiuderemo gli Opg, ma in realtà abbiamo davanti una fase di transizione, con tutti i rischi che ciò comporta. La situazione cambia da regione a regione. In Lombardia resterà aperta una struttura da 170 posti che di fatto è un manicomio, ordinato e pulito ma un manicomio. Anche altre realtà rischiano di essere deboli. Bisogna mobilitarsi per spingere la chiusura degli Opg sui binari della 180, verso l'idea di curare le persone malate di mente anche se commettono un reato.

La situazione a livello regionale?

Gran parte delle regioni sono pronte. È positivo che il Friuli Venezia Giulia abbia puntato su servizi di comunità piuttosto che sui Rems. Alcune regioni sono in ritardo e bisognerà commissariarle. Ci confortano le rassicurazioni del governo, che confermano che non ci sarà proroga ulteriore alla chiusura. Ma bisogna organizzarsi, gli Opg non spariscono da un giorno all'altro e non si possono scarrozzare le persone in giro per l'Italia con treni speciali. Ci vorrà tempo.

I passi successivi?

Resta sullo sfondo la modifica del codice penale: a tutt'oggi in Italia una persona che commette un reato, se considerata socialmente pericolosa o incapace di intendere e di volere, rischia di finire all'Opg invece di seguire un periodo di cura. La condanna per il reato commesso va invece contemperata con il diritto alla cura. Discorso che vale per chi è internato in Opg come per i tanti detenuti che oggi soffrono problemi di disagio mentale.

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