Allerta in Alto Adriatico per gli sciami di meduse

In questi giorni osservata una “invasione” tra Duino e Miramare. L’Aurelia aurita non è però (quasi mai) urticante al contatto con la pelle

TRIESTE. C’è Turritopsis, capace di ringiovanire nel corso della sua vita. C’è Rhizostoma, amata dai gourmet cinesi per il forte sapore. C’è quella allevata per il collagene e quella che fa tendenza perché entra nei raffinati piatti dello chef catalano Carme Ruscalleda, cinque stelle Michelin, che propone julienne e risotto di medusa.

Ai bagnanti, però, interessano le meduse pericolose, che possono sciabolare gambe e braccia con i loro piccoli organi urticanti (o nematocisti), estroflessi da cellule specializzate dette cnidocisti.

Da oltre un decennio compaiono periodicamente, in sciami numerosi, anche nei mari della Penisola. In aprile Paola Del Negro, dell’Ogs, ha osservato un banco di Aurelia aurita di fronte al Golfo di Venezia mentre è dell’altro ieri l’avvistamento di uno sciame di quasi 200 mq di Aurelia, filmato da Saul Ciriaco della Riserva marina di Miramare, di fronte ai laboratori a mare dell’Ogs. Alcune delle specie più comuni in Adriatico - come Aurelia aurita, con il suo quadrifoglio visibile sul cappello di 10-25 cm, e Rhizostoma pulmo, la “dama bianca” delle meduse locali, che può raggiungere i 60 cm - sono di casa nel Golfo di Trieste. Non sono, o quasi, urticanti e non sono mai stati registrati decessi causati dal loro contatto con la pelle dell’uomo. Episodi più gravi si sono verificati lungo le coste tirrenica e ligure: lo scorso anno, in Sardegna, una donna è morta per choc anafilattico in seguito al contatto con una specie urticante. Ma ogni anno nel mondo si contano milioni di casi di lesioni, 150-200mila nel solo Mediterraneo.

«In realtà le specie pericolose in Mediterraneo sono tre o quattro: Pelagia, Chrysaora e Physalia»” precisa Nando Boero, docente all’Università del Salento che nel 2009 ha lanciato l’iniziativa Occhio alla medusa, nata da una collaborazione tra l’Università del Salento-Conisma, Ciesm, Commissione scientifica per il Mediterraneo e la rivista “Focus”. Questo osservatorio permanente è aggiornato dalle segnalazioni inviate da cittadini di buona volontà (per la mappa delle osservazioni: http://www.focus.it/meduse/la-mappa-degli-avvistamenti---online.aspx). Tutti vi possono partecipare.

«Per evitare il contatto è importante conoscerle – aggiunge Boero – e iniziative come le periodiche e regolari segnalazioni del vostro giornale (“Il Piccolo”, ndr) ci hanno aiutato anche a stilare una tesi di laurea che ne ricostruiscono gli spostamenti». Le meduse, ma sarebbe meglio chiamarle plancton gelatinoso, resistono bene anche a variazioni contenute di temperatura, a scarsità di cibo e a qualche inquinante. E per difendersi cambiano aria o meglio acqua: salgono e scendono in colonne verticali finché trovano un ambiente migliore.

«Diversi siti lungo le coste italiane e dalmate ma anche turche o tunisine, ospitano popolazioni permanenti di meduse» dice Stefano Piraino, docente di Evolution and Development  all’Università del Salento e coordinatore di un gruppo di ricerca dedicato alle meduse, nell’ambito del progetto europeo “Vectors”, che intende studiare l’influsso dei fattori antropici e ambientali sugli ecosistemi marini. «La Laguna di Varano in Italia, Meleda (vicino a Ragusa, in Croazia) e il Lago di Butrinto (in Albania) - prosegue Piraino - sono diventati luoghi ideali di popolamento e diffusione. Altrettanto ospitali sono i relitti sommersi o le scogliere frangiflutti di cui l’Adriatico è pieno, che spesso ospitano un numero di piccoli polipi (uno degli stadi giovanili adeso a un substrato) capace di ripopolare l’intero Mediterraneo».

La loro straordinaria resilienza, complici anche le politiche di sfruttamento marino dell’uomo, sta determinando un successo senza pari, simile a quello del ratto sulla terra ferma. Aggiunge Boero: «Stiamo passando da una condizione in cui i mari sono popolati da pesci, a quella in cui saranno sempre più popolati da meduse». Proprio Boero, anni fa, ha individuato una nuova specie di medusa e l’ha chiamata Phialella zappai, in onore di Frank Zappa. E questi, prima di morire, ha ricambiato la gentilezza dedicando a Boero la canzone “Lonesome Cowboy Nando”, nel suo Cd “You Can't Do that on Stage anymore”.

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