Anche le osmize si adeguano: bere, ma con misura

Scomparsi i bicchieri da un quarto (i manighetti): si punta più alla qualità che alla quantità. La “frasca” su internet
Di Maurizio Lozei
Foto Bruni 29.03.14 Sgonigo:Osmiza Kocman Mitja
Foto Bruni 29.03.14 Sgonigo:Osmiza Kocman Mitja

Quest'anno la primavera è partita con il piede giusto. Giornate piene di sole, temperature miti, campagne e boschi densi di fioriture e di profumi. Con la bella stagione si può finalmente uscire di casa e per i triestini una delle mete preferite rimane la classica osmiza. Si tratta di una autentica istituzione locale, una tradizione che risale ai tempi dell'impero austro-ungarico. Osmiza deriva dalla parola slovena “osem”, otto, ovvero i giorni in cui un privato viticoltore poteva smaltire, al proprio domicilio, il vino prodotto nella sua cantina. Lungimirante idea, l'osmiza diventava per l'agricoltore una integrazione al lavoro svolto nei suoi poderi. Inoltre anche chi conduceva il proprio fondo part time, come succede pure oggi, riusciva grazie a questa particolare licenza a proporre ai consumatori i propri vini.

Sono passati gli anni, anzi i secoli, e l'osmiza continua a riscuotere successo e a attrarre non solo i residenti ma oggi, grazie al tam tam della rete di Internet, anche i forestieri. Come riconoscerla? È facile rintracciare la frasca di edera – la variazione bisiaca e isontina è quella composta con i rami di lauro – sugli incroci delle principali strade del Carso e dell'immediata periferia triestina. Basta seguire l'indicazione e in breve si giunge a una casa privata dove la frasca è ancora più rigogliosa. Come prevedono le norme stabilite dai singoli Comuni, l'osmiza può offrire ai suoi ospiti il vino della casa e dei piatti freddi a base di insaccati e formaggi principalmente di propria produzione, comunque di aziende regionali. Non possono mancare le uova sode, il classico propellente/protettore per iniziare quelle bevute che talvolta possono, per così dire, degenerare.

Per la verità oggi i tempi sono davvero cambiati rispetto a un passato in cui, diciamolo, la sbornia non era una rarità. Sono scomparsi i bicchieri da un quarto (i “manighetti”) al pari dei grandi bevitori. Preoccupati per i controlli predisposti dalle forze dell'ordine, i clienti delle osmize del terzo millennio stanno bene attenti a non alzare troppo il gomito, oppure giustamente si organizzano individuando tra le proprie file chi rimarrà sobrio per poter guidare senza incorrere in gravi sanzioni. Ciononostante le osmize mantengono intatto il loro appeal. Le ragioni sono diverse. Innanzitutto accanto agli uvaggi sfusi bianchi e rossi, ormai una buona parte delle osmizze offre agli avventori bottiglie interessanti e accattivanti. Sono Vitovske, Malvasie, Terrani e Refoschi, i vini autoctoni sempre interessanti nele loro diverse interpretazioni.

Quello che però fa la differenza è l'ambientazione della frasca. Piace, per incominciare, l'atmosfera informale e familiare. Molte osmize poi sono incastonate in un paesaggio di rara bellezza, nei rustici borghi carsici, oppure vicine a spazi verdi e a boschi. Tra le più gettonate, quelle di Silvano Ferluga e i fratelli Ferfoglia sulla collina di Roiano, con una vista sul golfo di rara bellezza. Grande panorama e atmosfera unica anche per l'osmiza di Benjamin Zidarich in Prepotto, produttore di punta del settore vitivinicolo triestino che non disdegna l'antica tradizione pur forgiando vini stappati su tavole britanniche e giapponesi. Magiche prospettive e atmosfera casalinga pure per alcune “private” di Contovello e dell'area muggesana in Darsella San Bartolomeo. C'è un altro particolare che rende ancor di più gradevole la frasca carsolina: con spesa contenuta la merenda è assicurata, particolare di non poco conto in questi tempi di crisi e portafogli smunti.

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