Ancora senza risposte la morte del maresciallo Albanese
Giovanni Cagnassi
Sono passati 20 anni e la sua morte è ancora un mistero senza colpevoli. Il maresciallo dei carabinieri Pierluigi Albanese cadde il 14 aprile 2000 nel piazzale della caserma “General Cascino” di via Trieste nel corso di un’esercitazione. Aveva 27 anni e il suo cuore cessò di battere poco dopo. Lui che era stato in Bosnia e Kosovo rischiando la vita con i colpi veri fu ucciso da un colpo di fucile che doveva essere caricato a salve e il cui proiettile lo centrò alla gola non lasciandogli scampo.
La mamma Olimpia nella casa di San Donà ha festeggiato una Pasqua di dolore e supplizio esattamente come quella di 20 anni fa quando perse il figlio. Due anni fa si spense anche il marito Gandolfo, a sua volta ex maresciallo dell’Arma, consumato da una grave malattia e dal dolore per la perdita del figlio. Oggi Olimpia si stringe all’altro figlio Bruno. «Per me questi 20 anni non sono mai trascorsi - si sfoga - ho perso un figlio e ancora non so perché o per colpa di chi. È come un battito d’ali che mi porta direttamente a questo giorno da quella mattina alle 9.16 in cui ricevetti la tragica notizia da Gorizia. Un colonnello ci disse subito che era partita una scheggia dal tromboncino difettato di un fucile usato nell’esercitazione. Era la verità assoluta. Ma noi ci siamo rivolti a un legale, l’avvocato Riccardo Mazzon, e la verità fu presto diversa».
Mazzon affidò una perizia alla Polizia di Stato, scoprì che nessuna scheggia aveva ferito mortalmente il carabiniere, ma la ferita alla gola era stata provocata da un vero proiettile da guerra che non doveva essere nel caricatore di quell’arma utilizzata in un’esercitazione militare. Il processo ai danni di ufficiali e sottufficiali a vario titolo responsabili del munizionamento delle armi si è concluso senza colpevoli. «La verità se l’è portata nostro figlio nella tomba», dice ancora Olimpia, mamma che mai si è rassegnata, «io e mio marito ci siamo lacerati nel dolore fino alla fine dei suoi giorni, perché Gandolfo non si dava pace. Un uomo mite e saggio che all’Arma aveva dato la sua vita visse nel dolore e la rabbia che non ha mai fatto pesare ad alcuno. Abbiamo perso Pierluigi, un ragazzo unico per noi, ma non solo per noi. Alla parrocchia del San Giuseppe Lavoratore era sempre impegnato per aiutare gli altri, nella beneficenza, con gli amici, un trascinatore che era sempre entusiasta della vita e dava coraggio a chiunque si avvicinasse a lui. Quel giorno non doveva neppure farla l’esercitazione. Aveva un po’ di raffreddore, figuriamoci se fosse accaduto oggi con la pura che c’è. Gli avevo detto che era meglio si riposasse. E lui: “Mamma, sai che non sopporto chi si mette in malattia per niente”. Se lo avesse fatto oggi sarebbe ancora qui. Io non odio nessuno. Ora il mondo mi pare confuso». Oggi Olimpia non potrà neppure andare al cimitero a trovarlo. «È una sofferenza in più tra le tante che devo sopportare, ma Pigi è ancora con me nel mio cuore e lo sento vicino più che mai». —
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