Arvedi: «In Ferriera lavoro per 800 persone»

Parla il proprietario del sito di Servola. «In tre anni vicini al raddoppio dei dipendenti. Produrremo di più senza inquinare. La banchina d’attracco sarà allungata»
La Ferriera di Servola
La Ferriera di Servola

Quando l’amministrazione controllata della Lucchini doveva vendere la Ferriera di Servola, al primo incontro programmato a Trieste con tutte le parti sociali si presentò tra i primi un signore anziano che in maniche di camicia cominciò a tirare righe a matita su un foglio di carta. Gli davano del tu e così incominciarono a fare anche i sindacalisti triestini che a un certo punto chiesero: «Ma arriverà anche il cavalier Arvedi?». «Veramente è questo signore qua», fu loro risposto. Chi racconta l’aneddoto riferisce che seguì mezz’ora in cui nessuno osò più aprire bocca. L’approccio democratico è lo stesso anche quando il cavalier Giovanni Arvedi accoglie l’ospite quasi sull’uscio di Palazzo Lodi Zaccaria, sontuosa residenza cremonese del XVI secolo con soffitti e pareti decorati con stucchi e affreschi. È la sede di Finarvedi, la holding di un gruppo che produce e trasforma ogni anno 3 milioni e mezzo di tonnellate di prodotti siderurgici con un fatturato annuo di 2 miliardi e 200 milioni di euro e 2mila 600 dipendenti. L’ultima società entrata a farne parte è Siderurgica Triestina, proprietaria della Ferriera di Servola. «E a Servola si arriverà a 700, forse 800 dipendenti nel giro di due o tre anni», annuncia. Attualmente sono in 470, quasi un raddoppio se tutto andrà bene.

Giovanni Arvedi
Giovanni Arvedi

«Ma a domande specifiche risponderò punto per punto e nei dettagli la prossima settimana perché alcuni progetti devo ancora illustrarli anche al sindaco Cosolini», mette le mani avanti, ma poi parla a cuore aperto per quasi un’ora. «Per Servola abbiamo un progetto estremamente serio che tiene conto di due premesse fondamentali. La prima è che non dobbiamo assolutamente inquinare, la seconda che lo stabilimento triestino deve diventare competitivo». Dopo aver sottolineato di ritenersi estremamente soddisfatto della collaborazione avuta sia in ambito ministeriale che dalle amministrazioni territoriali, entra nel merito, incominciando dal laminatoio a freddo: «Entro un mese completeremo un capannone, poi nell’arco di quest’anno ne sistemeremo altri due. L’area avrà oltre 60mila metri quadrati. Produrremo acciaio per motori elettrici e trasformatori, ci rivolgeremo soprattutto al mercato dell’auto. Un prodotto di questo tipo si faceva a Terni, poi quando i tedeschi della Krupp acquistarono quello stabilimento trasferirono in Germania quella produzione che oggi qui non esiste più: saremo noi a riportarla in Italia grazie a Trieste». Le lamelle per i motori elettrici sono infatti realizzate con un acciaio particolarmente duttile che la nostra industria manifatturiera è costretta ad acquistare all’estero. Tra un anno però basterà comprarlo a Servola.

Ferriera, firmato l'Accordo di programma
Foto di gruppo dopo la sigla dell'accordo

Ma la chiave di volta per Trieste è la cokeria. «É il cuore del ciclo integrale», sostiene il cavalier Arvedi, svelando il punto portante di tutto il progetto, foriero anche di applicazioni in altri siti: «Ho l’ambizione di essere il primo al mondo che adotterà un sistema in grado di aspirare tutti i fumi della cokeria. È un nostro progetto studiato da ingegneri liguri che sulla carta funziona perfettamente. Non dubito che funzionerà anche in pratica, lo adotteremo a Servola e sarà il progetto pilota per estenderlo poi anche all’Ilva di Taranto (stabilimento sul quale Arvedi ha avanzato una manifestazione di interesse, anche se si tratta di un’operazione che non potrà fare da solo, ndr.). Il coke - spiega il presidente - è un materiale speculativo, non va comprato perché ce lo fanno pagare due o tre volte il prezzo reale. Dunque dobbiamo produrlo. Se la cokeria sta in piedi senza inquinare, e sono convinto che sarà così, a Servola terremo in piedi tutto il ciclo a caldo. Altrimenti, senza cokeria, chiuderemo tutta l’area».

Altre due questioni sono da risolvere a Servola, in base al progetto Arvedi: l’altoforno è troppo piccolo, la centrale elettrica, al contrario, troppo potente. «Vorremmo arrivare a produrre un milione di tonnellate all’anno di ghisa - spiega il presidente - ma per com’è strutturato oggi quell’altoforno, che già ora non inquina ma sul quale comunque perfezioneremo i sistemi per evitare le emissioni, non ce la fa. Tecnici inglesi e tedeschi hanno tre mesi per studiare una soluzione: un revamping per aumentarne la produttività oppure l’accensione con l’utilizzo contemporaneo anche del secondo altoforno». Arvedi rinuncerà invece alla centrale elettrica di cogenerazione che oggi funziona all’interno del perimetro dello stabilimento: «È una centrale da 170 megawatt, ma a noi ne bastano 20 o 30. Ho localizzato in Germania due o tre turbine inutilizzate. Le farò recuperare e trasferire a Servola».

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