Aule, voti e prof: in chat le mamme degli universitari. Il dissenso del rettore

TRIESTE È stata superata l’ultima frontiera: a Trieste anche le mamme degli studenti universitari hanno formato dei gruppi WhatsApp, per scambiarsi opinioni sui docenti, sui voti ricevuti dai loro figli nei vari esami, sulle situazioni delle aule dell’ateneo. Proprio così come accade nelle chat dei genitori dei bimbi iscritti a nidi e a scuole materne. Ma ormai il discorso si è allargato pure alle medie e alle superiori. Nel caso degli asili, può avere un senso disporre di uno strumento rapido che permetta un confronto. Ma il continuo scambio di messaggi tra madri di studenti universitari, lascia perplessi. Sembra che il fenomeno coinvolga solo alcuni corsi di laurea.
Per ora è certo vi siano delle chat tra mamme di iscritti a Trieste a Giurisprudenza e al primo anno di Medicina e Chirurgia ma non è escluso che il sistema abbia “contaminato” anche altri versanti. Non c’è evidenza di padri coinvolti nell’iniziativa. Ad accorgersi per primo di questa bizzarria, è stato l’ex rettore Maurizio Fermeglia che di recente ha anche espresso perplessità sul fatto attraverso un tweet.
«Ne venni a conoscenza dalla telefonata della madre di una studentessa – racconta –, che lamentava il fatto che la figlia non avesse superato per ben due volte un esame malgrado, a suo dire, studiasse molto. E nel rimarcare la difficoltà del corso, precisò che pure nel gruppo WhatsApp creato dalle madri di universitari al quale partecipava, in diverse lamentavano una certa severità del docente. Idem per una mamma che mi chiamò per segnalarmi di aver saputo da un messaggio che, nell’aula dove la figlia stava assistendo a una lezione, faceva freddo». Insomma, le mamme ritengono serva un loro intervento anche quando i figli non sono più dei bambini. «Non percepiscono il grado di maturità dei loro ragazzi che, tra l’altro – sottolinea Fermeglia –, a quell’età sanno gestire i loro problemi in autonomia».
A confermare il fatto che esistano queste chat sono anche alcuni studenti. Carlo, iscritto a Giurisprudenza, riferisce che «tutto è partito dalle madri di alcuni ex liceali che avevano già il gruppo in precedenza e l’hanno mantenuto visto che diversi ex alunni della stessa scuola si sono iscritti al medesimo corso di laurea. Non sono gruppi con tanti iscritti e non credo agli studenti faccia piacere essere trattati come bambocci». Nelle chat le mamme discutono su un docente troppo “tirato” nei voti, o di quello che «sapeva che mia figlia non aveva dimestichezza con quelle domande e gliele ha rifatte mettendola nuovamente in difficoltà». Oppure: «Mi nasconde il libretto, come faccio secondo voi a sapere se ha fatto l’esame?».
«Mi pare triste e irrispettoso nei confronti dei ragazzi, poi non lamentiamoci se non crescono», commenta il rettore, Roberto Di Lenarda, che non aveva evidenza del fatto e che ricorda come «anche per motivi di privacy, non sia possibile dare informazioni sullo stato di avanzamento degli studi dei figli». «È un’iniziativa legittima quella di questi gruppi – osserva – ma totalmente ininfluente rispetto alla politica dell’Università, che si raffronta quotidianamente con gli studenti. Un genitore – conclude il rettore – non ha titolo di intervenire, a meno che non ci siano situazioni con risvolti penali o di sicurezza. I problemi vanno rappresentati da chi li vive, in ateneo ci sono persone e strutture pronte ad ascoltare e a dare risposte agli studenti». —
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