Bavisela, ecco i nomi degli undici indagati

Fatture false, ricevute di fantasia, rendiconti nebulosi. E dall’altra parte una montagna di soldi veri, usciti dalla casse del Comune di Trieste, da quello di Duino Aurisina, dalla Provincia e dalla Regione.
Ora per la Bavisela, il suo vertice e le ditte che sono entrate a far parte di questo sistema, è venuto il momento dei rendiconti veri, delle domande a cui non si può sfuggire con una battuta o una pacca sulle spalle. Il pm Giorgio Milillo ha chiuso l’inchiesta avviatasi più di due anni fa e si accinge a chiedere il rinvio a giudizio degli indagati per malversazione e false fatturazioni.
Il principale tra gli indagati è Franco Benedetti, al vertice della Bavisela dal momento in cui Franco Bandelli aveva lasciato l’incarico per assumere quello di assessore comunale della Giunta Dipiazza. Gli altri indagati sono il cittadino americano Gary Lee Dove, titolare di una frequentata palestra di via Economo e promoter dell’Associazione culturale “Juliet”; Cristiano Giannopulo, organizzatore di popolari concorsi di bellezza come “Miss Trieste” e “Miss e Mister Topolini”; Fabio Guastini, amministratore di una ditta di San Canzian d’Isonzo specializzata in allestimenti e realizzazione di palchi e pedane, nonchè la moglie separata di Bandelli, Nadine Dagmar D’Ambrogio, già vicepresidente e segretaria dell’associazione Bavisela. Nell’inchiesta sono coinvolti anche Emilio Vesnaver, Mara Silla, Nisida Zanette, Michael Kikvadze detto “Misha”, Nico Kikvadze e Alexander Rojaz.
Secondo gli investigatori della Guardia di Finanza l’associazione era riuscita a mettere a punto un sistema che sembrava infallibile, ma che ora è crollato. Il valore delle fatture emesse dalle ditte coinvolte nell’organizzazione degli eventi targati Bavisela, veniva artificiosamente gonfiato nella previsione che la crescita (fasulla) dei costi, avrebbe innescato a un parallelo aumento dei contributi pubblici.
Ma non basta. Lo stesso “trattamento” veniva riservato anche a chi lavorava saltuariamente per l’associazione. Ad esempio di fronte a un pagamento di 300 euro, veniva richiesto di firmare una quietanza moltiplicata per due o tre volte. Chi non ci stava era fuori, non lavorava più. Perché? Per la Procura la risposta è semplice: più lievitavano i costi, più potevano crescere le richieste di contributi pubblici e non. Carte alla mano, era difficile dire “no” a chi organizzava una manifestazione così popolare e affollata.
«Abbiamo esaminato i conti degli ultimi cinque anni. Avremmo potuto allargare la forbice, ma c’era il rischio di prescrizione e per questo abbiamo deciso di fermarci» hanno spiegato gli inquirenti. «Sono finito nell’inchiesta a causa di un paio di preventivi. I vertici della Bavisela mi ordinavano di realizzare solo la metà di quanto era stato previsto. E mi dimezzavano i compensi», ha raccontato ieri uno degli artigiani coinvolti nell’inchiesta. Ora ha abbandonato ogni rapporto con la Bavisela, rifiutando di lavorare a queste condizioni che ritiene “capestro”. Intanto sta subendo i contraccolpi di un verifica fiscale.
Anche ieri il presidente Enrico Benedetti ha ribadito la sua estraneità da ogni ipotesi di reato, ma ha anche rifiutato di spiegare nei dettagli come si difenderà. Del resto si era avvalso della facoltà di non rispondere anche davanti al pm Giorgio Milillo che lo aveva convocato negli uffici della Procura la scorsa settimana. Benedetti si era presentato con il difensore, l’avvocato Maria Genovese, ma aveva fatto scena muta. A breve dovrebbero essere interrogati anche gli altri indagati, difesi dagli avvocati Riccardo Seibold e Antonio Florean.
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