Bazar e negozi di alimentari nell’ex pastificio Miramar

Previsto a Valmaura uno degli otto centri monomarca autorizzati dal Municipio «Sarà una terza via diversa dal centro commerciale e dagli acquisti in centro»
Di Massimo Greco
Lasorte Trieste 06/07/15 - Via Rio Primario, Ex Uffici Pastificio Miramar
Lasorte Trieste 06/07/15 - Via Rio Primario, Ex Uffici Pastificio Miramar

La lunga marcia, compiuta dal Piano comunale del commercio attraverso circa otto anni di tappe, approdata a buon fine ai primi dello scorso marzo, sembra aver “shakerato” le calme acque del terziario tergestino. In primo piano le cosiddette “grandi superfici di vendita”, per molti anni meglio note con lo pseudonimo di centri monomarca. Queste superfici sono otto e gli operatori interessati stanno cercando di recuperare gli anni perduti nel tradizionale sbrodolamento burocratico-amministrativo. Nella lista figura una ditta di bricolage seria candidata a surrogare l’originaria vocazione automobilistica nell’ex concessionaria Dino Conti tra strada Rosandra e via Carletti. Ma non è la sola ad avere pretendenti: infatti Giorgio Pauluzzi conta di chiudere, «auspicabilmente» entro il 2015, le trattative in corso per accogliere uno/due attività commerciali al dettaglio nei suoi edifici, dove fino al 2002 operava il pastificio Miramar e che in seguito sono stati riconvertiti a nuovo utilizzo. Uno spazio complessivo di 2384 metri quadrati posizionato tra via Valmaura e via Rio Primario, attiguo ai 2500 metri quadrati dove già nel dicembre 2008 Pauluzzi aveva sistemato un’azienda di utensileria, la Bricofer afferente alla famiglia romana Pulcinelli. Spazio che, secondo Pauluzzi, «è strategico per tre motivi: perché è dotato di parcheggi, perché è adiacente alla Grande Viabilità, perché l’intera zona - vedi la presenza di Lidl e Famila - si configura di fatto come un importante polo della distribuzione triestina».

Pauluzzi, per accendere il suo business, ha contatti sia nel settore alimentare sia nelle tipologie commerciali non alimentari. Ci tiene a sottolinearlo, perché proprio sulla possibilità di ospitare attività legate ai commestibili nel novembre 2014 ha vinto un contenzioso amministrativo con il Comune davanti al Tar del Fvg. «Facciamo un minimo di cronistoria, senza polemica ma per amor di verità - narra Pauluzzi -. Nel 2011, con la delibera consiliare n. 76 approvata verso la fine dell’anno, si dettano gli indirizzi per l’integrazione del Piano commerciale. Con la delibera consiliare n.2 del gennaio 2014 vengono autorizzati cinque “monomarca” su 8, tra cui la mia richiesta. Ma tra la fine del 2011 e l’inizio del 2014 passano oltre due anni: molte le opportunità che sono andate perse per quel ritardo».

Pauluzzi racconta questa vicenda seduto negli uffici a fianco dei capannoni che ha fatto ristrutturare. Ogni tanto si ferma a osservare un grande e divertente quadro di forma verticale, opera di Renzo Kollmann, che ricostruisce, come in un’ampia vignetta, i dibattiti politico-urbanistici a metà degli anni ’50: Ponterosso, il ponte sul canale, palazzo Carciotti... A distanza di sessant’anni il mazzo di carte non è stato cambiato.

In verità Pauluzzi, dal punto di vista imprenditoriale, era nato pastaio ed era figlio d’arte. Aveva ampliato l’attività assumendo la gestione del Molino Variola in porto, costituendo una società al 50% con l’industriale rodigino Antonio Costato, cui poi cedette la sua quota. Come si è detto, nel 2002 la decisione di dismettere il pastificio, che nei momenti d’oro aveva dato lavoro a un centinaio di dipendenti, e di ristrutturare gli immobili per destinarli a uso commerciale. Nel 2004 le autorizzazioni commerciali della Regione Fvg, nel 2005 la licenza edilizia - «dopo tre anni», gli preme rammentare. Ha così ricavato 9500 metri quadrati, di cui 5000 mq di piazzale, inseriti nella categoria H2.

A questo modulo di “grande superficie di vendita” Pauluzzi ci crede: «Potremmo definirla una terza via, diversa dal centro commerciale e dallo shopping in centro. Non credo che tolga spazio ad altre attività commerciali e concorre a servire un bacino di utenza, come quello triestino, con quasi 240 mila residenti.

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