Belgrado candida la sua “sljivovica” a entrare nel Patrimonio dell’Unesco

La Serbia punta ad allungare la lista delle tradizioni riconosciute inserendovi l’«acqua di fuoco», simbolo nazionale 
Bottiglie di sljivovica, che la Serbia vuole inserita nell’elenco Unesco. Il kolo (a destra in basso) vi è già stato incluso, così come (in alto) la gara di sfalcio bosniaca Wikipedia e unesco.org
Bottiglie di sljivovica, che la Serbia vuole inserita nell’elenco Unesco. Il kolo (a destra in basso) vi è già stato incluso, così come (in alto) la gara di sfalcio bosniaca Wikipedia e unesco.org

BELGRADO. Cosa definisce una nazione? La sua lingua, le sue radici storiche, la sua cultura ma anche altre caratteristiche peculiari, inclusi i cibi. E le bevande. Anche bevande dall’altissima gradazione alcolica come la sljivovica, l’acquavite ottenuta dalla distillazione delle prugne fermentate, che presto diventerà la bandiera all’estero di un Paese balcanico dove lo slivovitz è considerato un elemento fondante della cultura nazionale, rigorosamente prodotto in casa da migliaia di famiglie.

Il Paese in questione è la Serbia, che ha annunciato di aver presentato all’Unesco la domanda di inserimento della sljivovica nel “Patrimonio culturale immateriale”, la lunga lista dove gli Stati di tutto il mondo possono chiedere di vedere accolti i loro orgogli nazionali, da proteggere e promuovere. Una lista in cui giorni fa la Slovenia - sostenuta anche da Italia, Austria, Bosnia, Croazia, Ungheria, Romania e Slovacchia - ha chiesto di includere la tradizione dei cavalli lipizzani.

Ad annunciare ora l’iniziativa della sljivovica è stata Maja Gojković, ex presidente del Parlamento serbo e oggi ministro della Cultura nel governo Brnabić bis, che si è detta certa che «l’anno prossimo riusciremo» a far registrare l’«acqua di fuoco» serba nell’ambito elenco Unesco.

La sljivovica è un prodotto tipico di tutti i Balcani e dell’Europa centro-orientale, ma in Serbia rappresenta forse la bevanda nazionale. Da qui gli sforzi di proteggere il “marchio”, che nel 2016 è stato riconosciuto dalla Ue come «Srpska Sljivovica», con annesso certificato di origine, mentre la Serbia rimane fra i primi cinque produttori mondiali di prugne. Ma ottenere l’imprimatur dell’Unesco rappresenterà sicuramente un plus per Belgrado. E per i produttori, che hanno l’obiettivo di conquistare «un marchio riconosciuto a livello mondiale», ha spiegato Aleksandar Bogunović, della Camera di commercio serba (Pks). Secondo Bogunović non esistono dati specifici sulla produzione nazionale, dato che «ogni casa rurale ha il suo frutteto» con annessa mini-distilleria: ma si può tuttavia stimare in 50-60 milioni di litri all’anno.

La sljivovica andrà comunque ad allungare la lista balcanica di manufatti, prodotti e tradizioni del patrimonio intangibile Unesco. L’anno scorso proprio la Serbia era riuscita a inserirvi la tecnica di produzione delle ceramiche tipiche di Zlakusa, un villaggio nell’Ovest del Paese celebre per le brocche, i vasi e le pentole prodotte in dieci giorni in modo arcaico, ideali per la cucina e in uso in case e ristoranti in tutta la Serbia, come si legge sul sito Unesco. Lo stesso anno l’obiettivo era stato raggiunto anche dalla Bosnia, che ha fatto conoscere la gara di falciamento dell’erba di Kupres, “strljanica”, che unisce in una competizione pacifica tutte le etnie dell’area.

Sicuramente più celebre e conosciuto è invece il kolo, la tradizionale danza in circolo con i ballerini le cui mani s’intrecciano a formare una sorta di catena, entrata a far parte nel 2017 del Patrimonio intangibile, sempre su richiesta della Serbia come «simbolo dell’identità nazionale» che «unisce» i componenti di una comunità. Ma c’è soprattutto la “slava”, la festa del patrono di famiglia, sentitissima nel Paese e riconosciuta dall’Unesco tra le usanze distintive della Serbia. Lista che include anche una moltitudine di altre tradizioni dell’Est, dalla danza macedone Kopachakata ai cori a cappella croati di Klapa e a quelli iso-polifonici albanesi, fino alla produzione di giocattoli in legno del Zagorje croato e di tappeti bulgari di Chiprovitsi. —

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