Buosi ha già scontato 18 anni «In carcere perché sono gay»

Un colpo alla testa, sparato a bruciapelo. Così era stato assassinato nella notte tra il 22 e il 23 novembre del 2003 il tassista triestino, Bruno Giraldi, di 54 anni, sposato con un figlio. Il suo...
BRUNI TRIESTE 05 05 07 FABIO BUOSI NELLA SUA CASA DOPO LA SENTENZA
BRUNI TRIESTE 05 05 07 FABIO BUOSI NELLA SUA CASA DOPO LA SENTENZA

Un colpo alla testa, sparato a bruciapelo. Così era stato assassinato nella notte tra il 22 e il 23 novembre del 2003 il tassista triestino, Bruno Giraldi, di 54 anni, sposato con un figlio. Il suo corpo era stato trovato da una pattuglia dei carabinieri nei pressi del canale navigabile.

A un paio di chilometri dal luogo del ritrovamento del cadavere, i militari hanno rintracciato il taxi dell'uomo, che era stato dato alle fiamme.

Nel dicembre 2003 le indagini coordinate dal sostituto procuratore Federico Frezza, portarono all'arresto di Fabio Buosi.

Nel giugno del 2005 Buosi è stato condannato dalla Corte d'Assise di Trieste a 25 anni di reclusione. Buosi è stato condannato anche a risarcire con 100 mila euro la moglie di Giraldi, costituitasi parte civile, e con 45 mila euro Paolo Ambrosi, che il giovane Buosi aveva calunniato, accusandolo inizialmente quale autore dell'omicidio, salvo poi ritrattare.

Il 4 marzo del 2007 i giudici di Appello hanno ridimensionato la condanna da 25 a 18 anni di carcere, concedendogli solo in parte le attenuanti generiche, negate invece nel giudizio di primo grado.

Ma secondo il suo legale, l'avvocato Sergio Mameli, restano ancora molte le circostanze da chiarire attorno a questo caso. Troppe le incongruenze.

Infatti Buosi non ha mai smesso di gridare la propria innocenza anche se un'intercettazione telefonica effettuata nelle prima fase dell'inchiesta lo ha messo con le spalle al muro.

«Non ho sparato io al tassista Bruno Giraldi». «Non ho sparato io e quindi non posso né pentirmi, né dimostrare un ravvedimento per quanto non ho commesso», ha dichiarato più volte.

In una recente intervista ha detto riferendosi alla condanna di primo grado: «I giudici hanno tenuto conto dei pregiudizi, del fatto che sono un omosessuale, non dei fatti, non delle prove. Anche durante un interrogatorio un investigatore mi ha urlato in faccia che sono un omosessuale. Quando ero stato fermato la prima volta, due giorni dopo l'omicidio, non avevo capito che volevano arrestarmi. Avevo chiesto alla polizia se dovevo chiamare un avvocato ma mi era stato risposto che non c'era bisogno». (c.b.)

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