Calamari e sogliole, prezzi raddoppiati

Il maltempo di questo inverno e le temperature marine tra le cause delle moria di certi pesci
Lasorte Trieste - Pescheria -
Lasorte Trieste - Pescheria -

Presi a pesci in faccia. È proprio il caso di dirlo se le “vittime” di questo modo di dire sono gli stessi pescatori. A Trieste infatti i lavoratori di una delle attività simbolo del territorio giuliano sono stati messi alle strette da una serie di provvedimenti della Comunità Economica Europea che hanno danneggiato il mercato ittico locale. Danneggiato al punto da arrivare a dire che “il pesce” italiano è finito. Almeno virtualmente. «Non è del tutto vero - spiega il presidente regionale dell' Agci Agrital Guido Doz - voglio far chiarezza su questo punto. Le voci che sostenevano che il pescato italiano era terminato sono vere solo in parte. Si basavano su un'analisi che dichiarava che il 60 per cento del consumo italiano di pesce proviene dall'estero. E questo è corretto. Era una stima virtuale».

Con il provvedimento di allargamento delle maglie delle reti da pesca il latterino, “ribaltavapori” o “giral” in dialetto, non può più essere pescato. Scivola fuori dalle reti e questo compromette un entrata di circa 5 milioni di euro per i pescatori triestini che, nei primi mesi dell'anno, praticamente vivono di questa risorsa.

Fa ancora più imbestialire se si pensa che i latterini, rappresentano una specie che nemmeno da adulta riesce a raggiungere le dimensioni sufficienti per essere pescata con le “reti europee” e lo stesso vale anche per la maggior parte dei “moli” e dei “guatti”.

E' vero che qualche anno fa a causa del sovrannumero dei pescherecci e dell'ipersfruttamento delle risorse della fauna marina lagunare adriatica, il golfo triestino versava in una situazione limite, ma da quando la commissione europea ha imposto la riduzione dei pescherecci italiani del 50 per cento, la proliferazione delle specie marine è progredita fino a raggiungere livelli rassicuranti.

«Non c'è bisogno di ulteriori restrizioni - sottolinea il presidente Guido Doz- si rischia solo di compromettere definitivamente il mercato del pesce triestino. È ora di farsi sentire». Gli aumenti di questo periodo riguardanti il pescato nostrano, secondo più di qualche operatore del settore, sono da attribuire ad altre cause. In primis alla moria di pesci provocata dalle settimane di maltempo di febbraio e, non di meno, dall'attuale temperatura dell'acqua, ancora molto bassa rispetto alla media stagionale. Fattori che avrebbero causato una carenza concreta di pesci comportando un conseguente rincaro.

Che le cause siano legate al maltempo, alle temperature marine fuori media o ai provvedimenti europei, c'è una sola certezza, tutto il “nostrano”, consultando i prezzi all'ingrosso del mercato ittico, risulta rincarato. Rispetto allo scorso le sogliole costano in media 5-6 euro in più, raggiungendo prezzi che vanno dai 23 ai 28 euro al chilo; i branzini eccedono di 6-7 euro, stima che li porta ad un prezzo che va dai 25 ai 33 euro al chilo. Ma il primato spetta al calamaro triestino che ha raggiunto addirittura i 30 euro al chilo, praticamente il doppio

Sebastiano Blasina

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