Cambiamenti climatici e divari territoriali. Twas: «Non siamo tutti sulla stessa barca»
GeoAdriatico 2025 si chiude con incontri sulla sostenibilità ambientale. Faro sulle scienziate del Sud globale al lavoro sui problemi concreti

Ultimo atto per GeoAdriatico, l’edizione 2025 del simposio conclude il proprio ciclo di conferenze portando al centro del dibattito la crisi climatica.
Due appuntamenti, sabato in mattinata, per esaminare l’impatto sugli oceani e sui diritti umani, tenendo a mente che «non siamo tutti sulla stessa barca» perché – come evidenziato nella tavola rotonda tenutasi nella Capitaneria della Guardia Costiera – gli effetti più disastrosi colpiscono in maniera diseguale le regioni più vulnerabili.
Il dibattito infatti ha integrato gli studi di scienziate provenienti da diverse parti del mondo, con competenze diverse. Quello che è emerso può essere sintetizzato dalle parole di Max Paoli, coordinatore del programma Unesco-Twas, che ha definito la crisi climatica come un «threat multiplier» ovvero un «moltiplicatore di minacce» che aggrava le situazioni di diseguaglianze e rischio per la vita umana e non.

Un concetto che può essere declinato sotto due profili diversi, uno geopolitico e uno socio-economico. Il primo riguarda le linee asimmetriche di potere globale: l’intensità degli effetti del cambiamento climatico riflette le ineguaglianze economiche. Per fare un esempio, riporta Paoli, gli Stati Uniti emettono una quantità di CO2 per persona 18 volte maggiore a quella di un cittadino delle Filippine, anche se, secondo l’indice di vulnerabilità ai disastri ambientali, lo Stato asiatico ne risente molto di più gli effetti. Il secondo è applicato ad una dimensione locale e dimostra come la crisi climatica si interseca alle dinamiche di potere già presenti nella società, colpendo in modo sproporzionato le minoranze, le donne e chi vive in zone rurali.
Per far fronte a queste disparità, sottolinea Paoli, è nato il concetto di “giustizia climatica”, con l’obiettivo di trovare soluzioni eque, inclusive e responsabili anche sotto il profilo della tutela dei diritti umani. «Per poter agire» sostiene «bisogna portare la scienza nelle comunità».
Così, Twas assegna dei finanziamenti a «progetti orientati all’azione», guidati da scienziate del Sud globale. Lo scopo è promuovere cambiamenti concreti all’interno delle comunità più marginalizzate con riguardo alle tematiche ambientali e di genere, connesse agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu.
Tra i diversi studi appartenenti al progetto, durante la conferenza, ne sono stati presentati tre: una ricerca di Vania Torrez in Bolivia; un’iniziativa per la creazione di un sistema agroforestale da parte di Lydia-Stella Koutika, ricercatrice congolese; un’analisi sulla reperibilità delle risorse acquifere di Sara Nowreen in Bangladesh.
Sebbene provenienti da contesti molto differenti, i tre interventi hanno sottolineato l’importanza di un dialogo con le comunità, costruendo un rapporto di fiducia con le donne e ascoltando il loro punto di vista, valorizzando così un processo di decision-making femminile ma senza squalificare il “sapere locale”.
La posta in gioco è alta, «un cambiamento irreversibile nell’ecosistema» con effetti anche sulla fauna locale. Nel Mediterraneo, lo studio di Maria Cristina Fossi, ecotossicologa, ha evidenziato l’impatto sulla biodiversità marina e sui cetacei dovuto alle microplastiche e agli agenti chimici prodotti dall’uomo. Per questo, è stata avviata una collaborazione scientifica tra le due sponde del Mediterraneo con l’obiettivo di passare dalla diagnosi ad una soluzione condivisa. —
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