Campione paralimpico di Monfalcone diventa testimonial sulla Gazzetta

MONFALCONE Sul terreno della disabilità, chi punta al record non trova zone franche, scivoli, una spinta d’aiuto. Ma suda, digrigna i denti, stringe i pugni esattamente come per le loro meritate medaglie han faticato Usain Bolt, Michael Phelps, Alina Zagitova. Di più, siccome a un atleta paralimpico la vita ha sottratto qualcosa – una gamba, un occhio, entrambe le mani – la tentazione di lasciar perder tutto, per l’impossibilità della sfida, è mille volte più grande. Così, se è vero, come abbiamo letto ieri a pagina 9 della Gazzetta, con lo slogan coniato dalla Toyota, auto ufficiale del Giro d’Italia, che “È il cuore che ti porta al traguardo”, allora quello de campione italiano di paraciclismo Andrea Pusateri, testimonial e protagonista sul foglio rosa, deve essere un cuore grande.
In molti, in città, sfogliando il quotidiano sportivo, lo hanno riconosciuto in quella pubblicità. Si sono meravigliati. E sentiti orgogliosi di lui, pur se da tanti anni ormai vive in Brianza. Andrea, nato sotto il segno del leone e partorito al San Polo l’8 agosto del 1993, ha perso entrambe le gambe sui binari ferroviari di Monza. Un arto, il sinistro, gli è stato con successo reimpiantato da Marco Lanzetta, chirurgo e accademico italiano, primo medico a trapiantare una mano in Italia, nel 2000. Quando è stato vittima dell’incidente Andrea, uno dei tre figli dell’ex consigliere comunale di Staranzano Pasquale Pusateri, aveva 4 anni. La mamma, per cercare di salvarlo, perse la sua vita. Una doppia ferita. Che certamente ha segnato il bambino, ma non ha impedito al ragazzo, oggi 25enne, di sognare, superare i suoi limiti, diventare un ciclista professionista.
Nel week-end si terrà la prima prova della Coppa del mondo di ciclismo paralimpico a Corridonia e in questi giorni Andrea Pusateri è in ritiro con la nazionale. Nel pomeriggio, dopo gli allenamenti, riesce a scambiare qualche battuta al telefono e racconta del progetto Toyota, brand di cui sarà testimonial, come la famosa schermitrice italiana Bebe Vio, fino a Tokyo 2020, cioè ai Giochi della XXXII Olimpiade. «Ho iniziato a gareggiare a 14 anni – dice – sperimentando prima la mountain bike, per prendere le misure». Da lì è partito, fino a diventare un velocista. Proprio in Fvg, a Maniago, ha vinto nel 2015 la 1ª prova di Coppa del Mondo nella gara in linea. Subito dopo il titolo di campione italiano a Pergine Valsugana e il sesto posto ai Campionati del mondo di Nottwil in Svizzera. Tre piazzamenti giunti dopo una grave caduta, in allenamento, che lo ha tenuto in coma farmacologico per 7 giorni. Ma lui è tornato in sella. Quando si dice il cuore grande.
«Non ho mai avvertito le difficoltà – spiega –, non sento la mia disabilità». Nel suo piccolo, il messaggio che si sente di dare è di «non arrendersi mai: c’è sempre uno spiraglio, in ogni cosa». Presto, appena potrà, tornerà a Monfalcone, la città in cui trascorreva il Capodanno, a salutare il padre. Ma l’obiettivo resta il Mondiale in Olanda. Il cuore, è già lì. —
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