Caso Rasman, lo Stato paga 500mila euro

Prima transazione per bloccare il sequestro chiesto dalla famiglia per gli appartamenti dei poliziotti condannati
Di Corrado Barbacini

Un assegno di 500mila euro alla famiglia di Riccardo Rasman, il giovane di 34 anni morto nel 2006 a seguito dell’irruzione della polizia nella sua abitazione di Borgo San Sergio. Lo pagherà l’Avvocatura dello Stato per evitare il sequestro conservativo degli appartamenti di proprietà di Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giovanni De Biasi, i tre agenti condannati con sentenza irrevocabile a sei mesi per omicidio colposo. L’assegno dell’ammontare di 500mila euro è stato concordato l’altra mattina dai legali della famiglia Rasman, Giovanni Di Lullo e Claudio Defilippi con il legale rappresentante dell’Avvocatura, l’avvocato Meloni. Tecnicamente si tratta di una transazione che ha avuto anche lo scopo di evitare il sequestro dei soldi conservati nella cosiddetta cassa dei passaporti. Ma è chiaro che quanto accaduto davanti al giudice Enzo Carnimeo rappresenta la prima vittoria “economica” della famiglia Rasman. Una vittoria anche morale se si pensa che nello scorso mese di giugno la stessa Avvocatura dello Stato ritenendo la richiesta di sequestro «inutilmente vessatoria» aveva descritto nella comparsa di risposta con queste parole Riccardo Rasman: «un giovane “parcheggiato” a spese della collettività in un alloggio di edilizia popolare da chi ormai evidentemente non poteva o voleva farsene carico. Un giovane che costituiva motivo di paura e di preoccupazione per i vicini, evidentemente non informati dalla famiglia di origine dei modi per contattarli».

Oltre la transazione di 500mila euro per evitare il sequestro degli appartamenti dei poliziotti e dei soldi ottenuti dalle tasse sui passaporti, rimane la citazione in sede civile nei confronti del ministero per la somma di 8 milioni di euro. È questa la cifra da capogiro che gli avvocati Di Lullo e Defilippi chiederanno come risarcimento per le sofferenze patite dal giovane negli ultimi strazianti minuti della sua vita e per i terribili riflessi che questa morte ha provocato sugli anziani genitori e sulla sorella.

Il punto nodale della causa civile è rappresentato dal danno sofferto da Riccardo Rasman nel breve periodo in cui era riverso a terra con le mani e i piedi legati e con un paio di agenti che col loro peso la tenevano bloccato. In quel breve periodo la vittima respirava a fatica, rantolava. Lo aveva sentito una vicina di casa. Nella citazione è evidenziato che Rasman si rendeva conto di stare per morire soffocato. Sarebbe stato sufficiente che i poliziotti lo sollevassero e la sua vita sarebbe stata risparmiata. A questo danno si affianca il danno biologico, esistenziale e morale che ancora oggi stanno patendo i genitori e la sorella. Ecco perché è così elevata l’entità del risarcimento richiesto al ministero degli Interni e ai tre agenti condannati per omicidio colposo.

Va aggiunto che nei tre gradi di giudizio tutti i magistrati che si sono occupati di questa terribile vicenda hanno riconosciuto il pieno diritto e la piena legittimità dei poliziotti a fare irruzione nel monolocale di via Grego a Borgo San Sergio dal cui terrazzo Riccardo Rasman aveva gettato un petardo. Ma l’errore tragico è stato quello di aver trattenuto troppo a lungo bloccato sul pavimento la vittima, esercitando sul torace una pressione che si è rivelata fatale. In sintesi Rasman non sarebbe morto se la pressione esercitata sul suo torace non si fosse protratta nel tempo.

«Il giovane aveva compiuto uno sforzo enorme, lottando coi poliziotti come un leone: dimostrava con l'affanno del respiro di essere in fortissimo debito di ossigeno: una qualunque persona - si legge nella sentenza di condanna - e a maggiore ragione dei poliziotti, dovevano prevedere che tenere premuto il corpo a terra per diversi minuti, avrebbe significato compromettere la respirazione e la vita».

In altre inchieste non dissimili, ad esempio quella sulla morte di Federico Aldrovandi, il ragazzo deceduto a Ferrara dopo un prolungato controllo di polizia, il ministero degli Interni ha risarcito i genitori della vittima. Lo ha fatto versando loro due milioni di euro ancora prima che si aprisse il dibattimento. La prossima data è quella del 23 ottobre. Per quel giorno è stata fissata l’udienza per il merito.

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