Cervelli in fuga verso la Sissa Gli italiani che ritornano

A volte ritornano. La cosiddetta fuga dei cervelli, si sa, porta a un continuo depauperamento del serbatoio di neuroni del nostro Paese. Trieste però costituisce un'eccezione. La Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) è uno dei pochi istituti in Italia ad aver riportato in patria menti brillanti che fino a poco tempo fa erano impegnate nella ricerca in Svizzera, Usa e Regno unito. Le storie di questi scienziati sono le classiche eccezioni che confermano la regola.
Alessandro Laio, ad esempio, ha 42 anni e ha studiato a Torino. Fin dall'università aveva tutti i requisiti per diventare un "cervello in fuga": «Mi sono laureato nel 1995 al Politecnico di Torino in ingegneria nucleare - afferma -, ma mi ero reso conto presto che il nucleare non era l'ambito in cui avrei voluto lavorare, così preparai una tesi di laurea improntata alla fisica». Dopo la laurea Laio è approdato alla Sissa: «L'unico posto in cui un laureato in ingegneria poteva sperare di ottenere un dottorato in fisica, ma studiando ce l'ho fatta». A Trieste Laio si è occupato di fisica del centro della Terra, ma in seguito cambiato di nuovo argomento: «Ho fatto due post dottorati in Svizzera, dove ho lavorato a degli algoritmi che permettono di studiare i sistemi biologici - spiega -. Negli ultimi anni la fisica si è avvicinata molto alla biologia, e in questo campo ci sono almeno una decina di risultati sperimentali eclatanti al mese: insomma, c'è molto lavoro da fare».
Gli algoritmi di Laio hanno riscosso ottimi risultati a livello internazionale, ed è in quel periodo che gli si è presentata la possibilità di tornare alla Sissa grazie al programma "Ritorno dei Cervelli". Laio ha colto l'occasione. Ma chi torna deve rinunciare a molto: «Un ricercatore italiano in media è pagato un terzo di un collega austriaco, tedesco o inglese: bisogna davvero avere degli ottimi motivi non economici per tornare in Italia». Così, oltre a far fuggire i propri ricercatori, l'Italia non è nemmeno una meta appetibile per quelli stranieri: «Purtroppo non siamo competitivi sul mercato internazionale».
Come Laio, così anche Matteo Bertolini ha 42 anni ed è un fisico teorico. È cresciuto scolasticamente a Torino, città in cui si è laureato. Ha ottenuto il dottorato alla Sissa nel 1996. Nel 1999, concluso il Phd, è partito per Copenhagen: la sua permanenza in Danimarca sarebbe durata quattro anni e mezzo, «lavoravo come ricercatore a contratto post-dottorato - ricorda -. Mi trovavo molto bene all'estero, gli istituti di ricerca danesi funzionano egregiamente». Nel 2003, grazie al "Rientro dei Cervelli", Bertolini ha avuto la chance di tornare in Italia, proprio a Trieste dove aveva condotto il suo dottorato: «Avevo forti dubbi - racconta - perché non sarei tornato a ogni costo in Italia. Ha pesato molto il fatto che la destinazione fosse la Sissa: è uno dei pochissimi posti in cui si può fare al tempo stesso ricerca e didattica ad altissimo livello». Nel 2008 Bertolini è riuscito a diventare professore associato: «In realtà il mio ambito, la fisica teorica, è relativamente privilegiato perché richiede pochi fondi e quindi anche la ricerca costa meno - spiega -. Il problema della ricerca in Italia non sta nei singoli istituti, che pure esistono e hanno punte di eccellenza come la Sissa, è proprio il sistema che non va».
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