«Chicago» toglie il fiato al Rossetti di Trieste
Le ballerine assassine Twinnie-Le Moore e Miriam Elwell-Sutton trionfano grazie all’avvocato Wilmot

TRIESTE
Il fascino dei cattivi vince ancora, e Chicago toglie il fiato a Trieste. Un successo annunciato, forse, ma si può affermare che questo musical, che ha vinto premi di tutti i tipi, sa essere davvero irresistibile. John Kander, Fred Ebb e Bob Fosse hanno generato qualcosa di speciale, che ha lasciato a bocca aperta il pubblico del Rossetti, unico teatro italiano ad ospitare una produzione, definita da molti la più bella al momento in scena a livello mondiale e basta vederlo per capire il perché. Bastava uno sguardo in sala per capire che erano in moltissimi quelli che non hanno saputo resistere al suo fascino. In scena allo Stabile Regionale fino a domenica, con doppie repliche oggi e sabato, il musical ha richiamato il grande pubblico del genere, che non può perdere uno spettacolo tra i più amati al mondo.
Unico nel suo genere, Chicago sta saldamente appoggiato su una colonna sonora jazz che dalle prime note, con quell’orchestra che domina il palcoscenico crea l’illusione di essere per davvero in uno dei club americani degli anni ’20, su delle coreografie raffinate che Ann Reinking ha saputo realizzare nello stile di Bob Fosse e sul valore artistico dei performer impegnati in scena, tutti vestiti in nero, ma uno diverso dall’altro e non solo per la foggia dell’abito. Ironico, comico e spietato ma anche molto realistico, non a caso è basato su fatti realmente accaduti, lo spettacolo scivola via lasciando una piacevole sensazione euforica nonostante le tematiche che tratta. Una parata di cattiverie, invidie, bugie, vendette, corruzione e manipolazioni, proprio per il modo in cui vengono raccontate, riescono a risultare addirittura esilaranti. Le due ballerine assassine, Roxie e Velma non solo riescono a vincere la loro battaglia legale, evitando il carcere, ma sanno farsi voler bene dal pubblico con la loro umanità.
Twinnie-Lee Moore sa dare alla sua Velma la classe, la sensualità e quel fascino leggermente snob ma anche la grandissima abilità fisica, come in ”I can’t do it alone”, Miriam Elwell-Sutton offre a Roxie quel mix di arrivismo e di mancanza di raffinatezza che vengono sottolineate nel ”soliloquy” nel quale riesce anche a raccontare, pour parler, la scarsa abilità a letto del marito.
Ma è sicuramente “My own best friend”, la canzone in cui entrambe mostrano la loro fragilità e determinazione, il momento che incanta sempre, e Trieste non ha fatto eccezione. Prima volta su un palcoscenico italiano anche per Gary Wilmot, star dei palcoscenici britannici, che con il suo sorriso e con il suo eccezionale carisma ha offerto una grande prova d’attore, impersonando Billy Flynn, l’avvocato dalla lingua forbita e dai metodi non proprio ortodossi, che non ha mai perso una causa. Ottima anche l’interpretazione di Adam Stafford, il povero Amos, tradito e preso in giro, che si definisce “Mr. Cellophane”, ma si dovrebbero citare tutti perché ogni artista sul palco dà davvero vita al suo personaggio.
Il fatto di sentire dal vivo capolavori come All that Jazz e Nowadays o Razzle Dazzle a questo punto sembra quasi un piacere aggiuntivo, ma in un momento in cui anche in Italia i casi di omicidio finiscono sulle prime pagine e i loro protagonisti diventano dei personaggi celebri generando una curiosità quasi morbosa per le fasi dei loro processi, non va sottovalutato il “Cell Block Tango” che offre una panoramica di motivazioni, fondate o meno, per eliminare i mariti. Nessuno si pente dei propri gesti in Chicago, e non c’è un finale buonista, forse anche per questo il suo successo continua, d’altra parte, come dice Roxie, «chi può dire che l’omicidio non sia un’arte»?
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