Chiedono la carità ma sono finti disabili

Alle 6 del mattino, appena il bar della stazione delle corriere apre, si precipitano al banco per un caffè. Fumano qualche sigaretta, utilizzano i bagni interni al Silos. E infine eccoli pronti per la trasformazione: ognuno di loro inforca una stampella, adotta un andamento claudicante e inizia il tour cittadino tentando di impietosire qualche cittadino e racimolare un po’ di euro. Sono almeno una decina.
Nella parte retrostante l’autostazione delle corriere ha preso forma un accampamento di finti disabili con bambini e cani a seguito. Dormono su cartoni e materassi che di giorno nascondono sapientemente tra gli anfratti della stazione e dietro la Sala Tripcovich. L’accesso retrostante al teatro voluto da Raffaello de Banfield, attraverso il quale anni fa venivano introdotte parte delle scenografie, è stato divelto, la guaina in gomma è stata tagliata e quel pertugio viene usato per sistemare delle scarpe.
Tra l’incolta vegetazione della zona demaniale al limite con quella di Porto Vecchio qualcuno ha imbastito una sorta di tenda. Accanto un passeggino, pentole e piatti con il cibo da consumare al rientro dall’accattonaggio. Stringe il cuore vedere sistemate con cura, l’una accanto all’altra, le scarpe di un bambino.
Qualcuno ha lasciato una pizza surgelata al sole per poterla mangiare la sera. Due metri più in là, varie stampelle nascoste tra l’erba alta. Alcune autentiche, altre realizzate con lo scheletro di un ombrello, altre ancora costruite con un mezzo manico da scopa ben camuffato con nastro adesivo. Dei cartoni sistemati a terra fungono da giaciglio. È un villaggio invisibile dove l’indigenza, la povertà più estrema ma anche la furbizia e la scaltrezza la fanno da padrone. A viverci sono una trentina di persone, divise in due gruppi, che tengono i propri beni in un furgone bianco e in una station-wagon grigia, entrambe con targa polacca.
Uno dei nuclei ha due cani di razza shihtzu che vengono usati a rotazione da un ragazzo, una donna e una ragazza per chiedere l’elemosina in via Cassa di Risparmio o in via Dante. Nell’altro gruppo ci sono diverse donne vestite con gonna lunga, i capelli raccolti sotto un foulard, che non esitano a chiedere la questua assieme ai bimbi più piccoli. Si sistemano alle spalle della Luminosa, passeggiano tra i tavoli dei bar, stanno fuori da alcune chiese.
Nel tardo pomeriggio, al riparo da occhi indiscreti, tutti tornano "normali" e si avviano ben saldi sulle proprie gambe verso il retro del Silos occultando dietro alle macchine e in qualche angolo gli "attrezzi del mestiere": stampelle e bastoni. A pochi metri le corriere sbarcano ogni giorno centinaia di turisti.
«All’alba arrivano al banco a bere il caffè camminando normalmente – spiega Marco Soncini, gestore del bar all’interno dell’autostazione – poi tirano fuori quelli che io definisco i ferri del mestiere e iniziano la questua. Chi lavora qui è in balia di questa gente che non si fa scrupoli a rubare, minacciare e sporcare ovunque. Fanno scappare i clienti».
Chi lavora all’intero della struttura è esasperato: «È vergognoso che nessuno impedisca questo scempio – dice Maria Zaltron, titolare con il marito Renzo di uno dei negozi di abbigliamento davanti alla biglietteria – qui comandano loro e noi abbiamo anche paura. La donna delle pulizie è stata più volte minacciata e presa a brutte parole. Non ne possiamo più».
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