L’insieme delle chiese di proprietà comunale a Trieste e la mappatura degli alloggi del clero

La coabitazione tra istituzioni è una peculiarità di retaggio asburgico. Tre esempi: San Antonio Taumaturgo, San Giovanni e San Giacomo

Francesco Bercic
La chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo Foto Massimo Silvano
La chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo Foto Massimo Silvano

Fra le tante peculiarità che Trieste ha ereditato dall’Impero austroungarico, una concerne lo speciale status giuridico di alcune chiese locali. Per quanto curioso possa apparire, esse non sono infatti di proprietà della Chiesa con la “c” maiuscola, cioè della Diocesi di Trieste, bensì del Comune. Non è un dettaglio da legulei, né una mera constatazione formale. È un’importante caratteristica del patrimonio immobiliare triestino, che ha dei riflessi molto concreti nella gestione delle parrocchie interessate. E che perciò va trattato con la dovuta cautela, avendo a che fare con i rapporti non sempre pacifici di vicinato tra Chiesa e Comune.

Il recente caso di Muggia

Si guardi al recente caso scoppiato, in realtà, a Muggia. Nessuno aveva contezza del fatto che la piccola chiesa di Santa Barbara, in via Colarich, fosse di proprietà comunale. Finché lo scorso novembre, nello stupore generale, si diffonde la notizia che l’edificio risulterebbe nell’elenco dei beni alienabili del Comune di Muggia, e dunque in vendita. Notizia che poi si è rivelata falsa, come spiegato dall’assessore municipale competente, ma poco importa: la vicenda ha portato alla ribalta l’argomento, mostrando al contempo la gestione a dir poco originale che può conseguirne.

La situazione in centro città

La chiesta di San Giacomo Apostolo nell’omonimo rione Foto Silvano
La chiesta di San Giacomo Apostolo nell’omonimo rione Foto Silvano

Più lineare è invece il quadro nel centro città. Sono 21, su un totale di 60, le chiese di proprietà del Comune (anche parziale). Non è un caso che la quasi totalità si trovi nel nucleo urbano più antico di Trieste: vi figurano, per citarne tre abbastanza distanti tra loro, Sant’Antonio Taumaturgo, San Giovanni Decollato e San Giacomo Apostolo negli omonimi rioni. Tutte hanno fatto parte, con ruoli diversi, del passato austroungarico. Passato in cui la parrocchia non rappresentava solo uno spazio per il culto e per la formazione cattolica dei giovani, ma un punto nevralgico dell’intera vita sociale, dove poteva trovare sede, ad esempio, l’anagrafe. Dalla qual cosa discende l’attribuzione speciale degli stessi luoghi direttamente allo Stato. Ognuno di loro ha comunque una storia a sé, la cui genesi si perde nei documenti burocratici di qualche secolo fa.

La coabitazione

Dalla storia all’attualità. Oggi la “coabitazione” ha quasi sempre raggiunto un equilibrio, venendo trattata come un curioso retaggio austroungarico e nulla di più. A volte, però, tale retaggio produce degli inevitabili dissapori tra ente proprietario (il Comune) e chi concretamente usufruisce del bene (i membri del clero e la rispettiva comunità). Come nella necessità di apportare all’edificio ristrutturazioni, o nella discordia per alcune scelte gestionali poco apprezzate, da ambo le parti. In ogni caso, almeno in anni recenti, non si ricordano contese eclatanti nel merito.

La mappatura dei beni

Le novità riguardano invece un altro margine di contatto tra Chiesa e Comune, dato dagli alloggi del clero. Il Municipio ha infatti avviato, lo scorso settembre, una mappatura dei beni in questione di sua proprietà, che ammontano a una cifra considerevole. L’obiettivo è conoscere l’attuale stato manutentivo degli immobili, nonché accertare chi ne beneficia. Il Comune si muove in sinergia con la Diocesi, che ha sollecitato la mappatura ed esprime soddisfazione per il suo avvio. Il lavoro sarà comunque abbastanza lungo, proprio per la quantità degli immobili e per la zona d’ombra che nel tempo li ha avvolti. —

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