Cittavecchia, i dieci anni dalla rinascita

di Gabriella Ziani
Senza quei muri nuovi, loro non sarebbero mai nati. E invece domani alle 17.30, in piazzetta Trauner (purtroppo l’unico posto distrutto durante i lavori) 25 “attori” di Cittavecchia festeggiano “UrbanDieci”, i 10 anni dalla riqualificazione dell’antico quartiere che digrada sotto San Giusto. Macerie e case diroccate, finestre senza vetri, crolli e transenne: lì c’era un disastro impresentabile, il pezzo originario e nobile della città lasciato a marcire.
Fu riportato in vita coi fondi europei Urban, un forte contributo del Comune all’epoca della giunta Illy, e un investimento notevole della Regione e dei privati. In tutti i casi, la più imponente opera di restauro urbanistico portata a termine a Trieste, anche se avanzi di cantiere sono ancora lì abbandonati, la zona archeologica non è mai decollata, e non troppa vita allieta le erte stradine, fra case di ogni vivace colore.
Eppure quando a fine 1997 arrivò il via libera da Bruxelles per quei 30 mila metri quadrati tra via dei Capitelli, piazza Cavana, l’arco di Riccardo, via Madonna del mare, per quel quartiere che sembrava un’isola preistorica ferita da bombe, per quella vergogna di totale abbandono e degrado abitativo, fu grande festa: 13 miliardi di lire dalla Ue, un costo totale stimato in 50 miliardi. E alle spalle il feroce dibattito che in precedenza aveva opposto il Ciet, un consorzio di costruttori, ad ampie fette di città: non solo il consueto “no se pol”, ma avversione per interventi giudicati eccessivamente modernisti.
La storia aveva preso un’altra piega quando l’assessore alle Finanze della giunta Illy, Franco Degrassi (all’Urbanistica sedeva Ondina Barduzzi), scoprì i fondi europei Urban, per la prima volta indirizzati agli enti locali e non allo Stato. «Tutti ci credevano poco - ricorda oggi Degrassi, che poi lasciò Urban alla giunta Dipiazza -, forse neanche Illy, ma secondo me quell’opera vale un’intera consiliatura. Presentammo, di corsa, un progetto, ma fu bocciato».
Il miracolo che oggi Degrassi ricorda è di aver poi trasformato un piano europeo che aveva come fine la “decongestione” di zone urbane sovraffollate esattamente nel suo contrario: un progetto di ripopolamento di un’area cittadina svuotata. Magia? «Spiegammo il senso sociale del riempire il vuoto per liberare altre zone cittadine. La prima volta andò male perché si trattava di un progetto solo architettonico, la seconda, quando in tutta fretta e con enorme fatica dovemmo ripresentarci a Bruxelles, fummo ripescati: avevamo previsto la Casa della musica, la Casa per le donne, la “casa diffusa” per gli studenti universitari, alberghi e laboratori artigianali».
È proprio la Casa della musica di via Capitelli, adesso, a guidare la festa dei 25 che lavorano in Cittavecchia. Nel mezzo, tra quell’entusiasmo e il risultato, l’avventura della realizzazione: appalti singoli per ogni pezzo (il 50% erano case del Comune), carotaggi per scoprire in tempo gli immaginabili (e trovati in abbondanza) resti archeologici, la Soprintendenza che fece spostare un parcheggio da via Capitelli a sotto San Giusto (ed è ancora cantiere), Caput Adriae e l’Università che si candidarono a creare il parco archeologico (ruderi romani sono ora sotto vetro, ma tutto è non finito e abbandonato).
Infine (giunta Dipiazza) ci furono ritardi, attribuiti agli scavi archeologici, il drammatico crollo della casa di piazzetta Trauner, il pezzo architettonicamente più pregevole ma ormai smangiato dai tarli del tempo. Ci fu il rischio di perdere pezzi di finanziamento. E il Comune dovette rispedire a Bruxelles 1,5 milioni di euro perché gli investitori privati (incredibile) non li avevano ritirati. «Ai privati - dice Degrassi - sarebbe stato dato quasi l’80% dell’investimento: moltissimo». Ma intanto i prezzi erano schizzati a oltre 2000 euro al metro quadrato. Troppo per tanti, anche se non per tutti.
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