Clochard investito due volte Lei patteggia, lui a processo

La moglie ha patteggiato una pena di due anni e due mesi, il marito sarà processato con rito abbreviato. Strade diverse per Clelia Stringher, 81 anni, e Lucio Chalvien, coetaneo. Si tratta dei coniugi che il 26 agosto 2015 hanno investito per due volte - prima lui in scooter, poi lei in auto - un pedone che stava attraversando la strada in viale Miramare all’altezza del giardino Ieralla. La vittima dell’assurda e incredibile tragedia della strada si chiamava Giorgio Michielin. Aveva sessant’anni. Era un ex artigiano edile originario di Crocetta del Montello, in provincia di Treviso, caduto in povertà dopo il fallimento della sua ditta a causa della crisi. Era morto sul colpo centrato in pieno dalla Vespa condotta da Chalvien e poi straziato sotto le ruote della Peugeot 106, guidata dalla moglie che lo seguiva a breve distanza e che non si era accorta di nulla.
A pronunciare la sentenza di patteggiamento di Clelia Stringher è stato il giudice Luigi Dainotti che, dopo aver avuto la conferma del risarcimento alle parti civili, ha ratificato l’accordo sulla pena definito tra il difensore, l’avvocato William Crivellari, e il pm Massimo De Bortoli. Lo stesso giudice Dainotti ha accolto la richiesta di rito abbreviato formulata dal difensore di Lucio Chalvien, l’avvocato Andrea Frassini. E per questo ha fissato la data del processo per il prossimo 26 aprile. La donna ha risposto dell’accusa oltre che di omicidio colposo (assieme al marito) anche di omissione di soccorso. Dopo l’impatto aveva fatto marcia indietro e poi se n’era andata. Si era presentata il giorno seguente, accompagnata dal proprio difensore, al comando della polizia locale. Il marito è accusato anche di guida in stato di ebbrezza. In ospedale, dove era stato poi accompagnato a causa della caduta dalla Vespa, gli avevano riscontrato un’alcolemia di 0,9 milligrammi per litro. Quasi il doppio dei limiti di legge.
La polizia locale era riuscita a risalire alla Peugeot 106 della donna, e dunque alla conducente, grazie a due particolari dell’auto: il tettuccio nero apribile e gli specchietti retrovisori, anche questi neri: dettagli insoliti, gli unici davvero identificabili dall’occhio della telecamera installata in viale Miramare, che hanno permesso appunto di incastrare la donna. Partendo da quei particolari gli inquirenti avevano setacciato le varie concessionarie cittadine, fino a risalire all’auto e all’identità dell’anziana.
La donna, una volta identificata, si era difesa negando la “fuga” dopo l’impatto. «Non è vero - questa era stata la sua versione - che sono scappata dopo l’incidente», aveva spiegato. Aveva aggiunto che stava tornando a casa dopo aver partecipato assieme al marito a una festa. «Non volevo scappare, non sono fuggita. Mi sono accertata che arrivasse l'ambulanza, altro non potevo fare». Si era resa conto dell'accaduto dopo aver letto il giornale e, consigliata dai familiari, si era rivolta all'avvocato. Tant’è che non si era accorta nemmeno del marito, anche lui dolorante a terra.
Giorgio Michielin faceva il pittore. Era un artigiano. Era partito da Crocetta alcuni anni prima e aveva scelto di vivere a Trieste dove aveva trovato una casa nella zona di viale Miramare. Aveva messo in piedi una piccola ditta, un’impresa individuale di pitturazioni e interventi di edilizia.
Ma poi il lavoro non era andato bene. Prima la mancanza di ordini, poi la difficoltà a pagare i fornitori. Infine il fallimento. Così dopo il crac, e non avendo più alcun reddito, ha dovuto abbandonare la casa di viale Miramare scegliendo di andare a vivere per strada dormendo su un letto di fortuna oppure d'estate su un cartone steso su una panchina. Proprio davanti al luogo dove poi ha trovato la morte.
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