Dai cassonetti Caritas al riciclo: il business dei vestiti usati
Capita in questi giorni di vedere i cassonetti per la raccolta degli indumenti usati pieni zeppi e circondati da borse altrettanto colme di vestiti. È normale soprattutto di questi tempi, quando si sistemano gli armadi per il cambio di stagione e si scartano le cose che non si mettono più.
Ma la domanda che sorge spontanea, viste anche le piogge abbondanti di queste settimane, è: ma che fine faranno tutti quei vestiti ormai rovinati? Quello che però per gran parte di noi è un gesto di solidarietà verso chi è più bisognoso, visto che sui cassonetti appare il nome della Caritas, si sgretola nella morsa delle norme. Sì, perché con l'entrata in vigore del decreto Ronchi nel 1997 anche i vestiti usati sono considerati alla stregua dei rifiuti differenziati. Quindi, come se fossero una bottiglia di plastica o un pezzo di carta, vengono venduti a società specializzate che poi li utilizzano per farne altro: circa nel 10% dei casi li igienizzano per rimetterli nel mercato dell'usato; il 50%, dopo una fase di selezione e trattamento, viene esportato in paesi extra Ue; il 25% viene commercializzato come stracci nel settore industriale; il 10% è trasformato, ad esempio, in tappetini per automobili o imbottiture; infine un 5% finisce negli inceneritori come qualsiasi rifiuto solido urbano su un totale di circa 100 mila tonnellate raccolte in Italia.
A Trieste, da 12 anni, a occuparsi della raccolta degli indumenti è la Cooperativa sociale Querciambiente che lavora con le persone provenienti dall'area dello svantaggio: sono in 4 che si occupano di svuotare i cassonetti. Inizialmente, grazie a una convenzione con la Caritas, i raccoglitori erano solo 12 e venivano riempiti con quanto le varie parrocchie accumulavano; il tutto poi veniva spedito alla società di Prato Tesmapri. La convenzione con la Caritas dal 2001 è diventata patrocinio, mentre è entrata a far parte del progetto AcegasAps visto che si tratta di raccolta differenziata.
Oggi i cassonetti sono un centinaio in tutta la provincia con l'obiettivo di arrivare il prossimo anno a 130. Gli indumenti usati vengono quindi venduti da Querciambiente alla Tesmapri a 0,20 centesimi al chilo per un totale di circa 4mila quintali raccolti in un anno, e il 30% dell'utile viene devoluto alla Caritas.
«Non bisogna dimenticare – spiega Alberto Poniz, responsabile servizio indumenti di Querciambiente - che si tratta di rifiuti differenziati e quindi anche noi contribuiamo a fare salire la percentuale per raggiungere l'obiettivo fissato dall'Ue. Ci sono però dei momenti in cui abbiamo dei picchi, soprattutto nei periodi del cambio di stagione: per questo non riusciamo a svuotare tutti i cassonetti e alcuni indumenti vengono abbandonati fuori dai contenitori. Il servizio lo facciamo tutti i giorni. Ciò che consigliamo è di aspettare che vengano svuotati: tenerli a casa un giorno in più non costa nulla». I vestiti lasciati fuori dai cassonetti però diventano a tutti gli effetti rifiuti solidi urbani col rischio di venire bruciati con il resto della spazzatura. «Siccome si tratta di raccolta differenziata, chi lascia i rifiuti fuori dal cassonetto commette un reato, ovvero abbandono improprio di rifiuti – spiega ancora Poniz -. Infine è impensabile che i vestiti possano andare ai poveri perché restano anche cinque giorni nei contenitori».
Ivana Gherbaz
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