Dalla guerra nell’ex Jugoslavia a star del basket in carrozzina

Gradisca
Di rinascite, del resto, se ne intende. Ecco perché Izet Sejmenovic ha accettato di ritornare nella “sua” Castelvecchio Gradisca, dopo alcune brevi “fuitine” tra Vicenza e Sassari: per provare a riportare in serie A, nella prossima stagione, quella che è diventata per lui una seconda famiglia.
Dall’orrore della guerra a una tranquilla vita in provincia di Gorizia, ma con una particolarità: essere una delle star del basket in carrozzina. È questa la storia di “Iso”, che da ragazzo sfidava gli Alibegovic e i Bodiroga e, dicono, prometteva altrettanto. Ma che la partita più importante l’ha vinta indubbiamente lontano dall’amato parquet. In quel match in palio c’era una vita, la sua, che ha saputo tenere stretta fra le mani come si fa con i rimbalzi decisivi, quelli che contendi all’avversario con disperazione. E il campo non era da gioco, ma di battaglia: quello della guerra nei Balcani. Bosniaco di Maglaj, classe 1967, Sejmenovic matura cestisticamente nell’Olimpia Lubiana. Quindi altri campionati in Croazia, allo Slavonski Brod, dove – ricorda – ha affrontato anche lo Zadar di un predestinato: Dejan Bodiroga.
Sejmenovic sta per coronare il sogno di vivere di basket. È tutto fatto per il suo passaggio al Gottingen, massima serie tedesca, quando la vita gli cambia per sempre. È l’8 luglio 1993 e la sanguinosa guerra che ha smembrato la federazione jugoslava è alla massima tensione. Nella provincia di Zenica-Bodoj da qualche giorno si guarda fuori dalle finestre con sollievo, perché la fragile tregua sta inaspettatamente durando.
Iso riceve la notizia che un suo vecchio amico versa in condizioni gravi. Rischia di perdere una gamba e ha urgente bisogno di una trasfusione. Il gruppo sanguigno dei due è lo stesso. Sejmenovic decide di raggiungerlo, divora a piedi i 25 chilometri che lo dividono dall’amico, attraversa paesi e villaggi devastati per donare il suo sangue. E sempre a piedi fa ritorno. Il destino lo attende beffardo a 500 metri da casa. Due cecchini serbi decidono che la tregua è finita: gli perforano una gamba e gli squarciano letteralmente l’addome. Izet finisce proprio nell’ospedale che aveva lasciato ore prima. Un’infermiera lo riconosce. E si ricorda che il sangue donato il giorno prima non era ancora stato trasfuso. Sejmenovic sarà salvato dal suo stesso gesto di generosità. Quell’infermiera, invece, si chiama Elmedina: oggi è sua moglie, sposata proprio in quell’ospedale. «Il matrimonio dopo quattro mesi, ma io l’avrei sposata dopo dieci minuti», sorride sornione e innamorato. «Il basket in carrozzina e Gradisca mi hanno regalato una seconda vita: sono orgoglioso di ricominciare da qui». –
Riproduzione riservata © Il Piccolo