Deflazione: il carrello costa meno e il cliente è più povero

Incide come altrove il ribasso del petrolio ma qui il paniere scende più della media nazionale. «Però non si spende per paura nel futuro»
Un supermercato in una foto di archivio
Un supermercato in una foto di archivio

Riempire il carrello con più roba - di frutta in particolare - ai prezzi d’una volta. Eppure non sentirne il beneficio, poiché anche il potere d’acquisto non è più lo stesso. Anche a Trieste, persino più che altrove, la famiglia-tipo si ritrova a fare i conti con un circolo vizioso di nome deflazione, conseguenza della crisi. Gli indici provvisori dei prezzi al consumo, termometro del valore del cosiddetto “paniere”, per lo meno quelli resi noti negli ultimi mesi dall’Ufficio statistica del Comune dopo l’elaborazione dei dati Istat, dicono che dalle nostre parti il livello generale dei prezzi sta calando, di questi tempi, addirittura a un ritmo più sensibile della media italiana.

L’ultimo Nic di casa, ovvero l’Indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività calcolato in Municipio nei giorni scorsi per quanto riguarda gennaio, registra un -0,4% congiunturale nel confronto da un mese all’altro. Siamo al medesimo segno meno, spaccato al decimale, rilevato su base nazionale. È però guardando alla differenza tendenziale e cioè al raffronto da un anno all’altro (in questo caso particolarmente significativo, in quanto tiene in esame il primo mese dell’anno tracciando appunto la cosiddetta “inflazione acquisita” per l’anno nuovo) che si dove prendere atto di come a Trieste la deflazione si stia cronicizzando ancora di più. Il dato italiano si ferma al -0,6%, quello locale si spinge al -0,8%.

Qui la “controperformance” di gennaio è, se si va indietro ai mesi immediatamente precedenti, la peggiore. La “curva” tendenziale annua del Nic era, in effetti, al -0,2% a dicembre e al -0,1% tra ottobre e novembre. Allo stesso tempo la variazione congiunturale mensile era oscillata invece attorno allo zero. Tra inflazione e deflazione: +0,1% a ottobre, -0,1% a novembre, +0,2% a dicembre e adesso, come detto, siamo a -0,4%.

Crisi, NordEst sotto una pesante deflazione
Un'immagine generica di banconote

Le concause sono molteplici ma una, ad esempio, fa comodo a molti, o meglio sarebbe dire tira di meno il collo alla gente: il calo del prezzo di benzina e gasolio figlio del calo del prezzo del petrolio, che vale sia al di qua sia al di là del confine (ma il Nic considera ovviamente solo le stazioni di servizio che stanno al di qua) e che contribuisce a caduta a contenere se non proprio a ribaltare l’inerzia al rialzo dei costi di produzione, poiché incide anzitutto sulla filiera dei trasporti e poi pure sui costi delle serre.

Altre voci di spesa importanti, quindi, sono in leggera altalena sopra lo zero. È il caso (si veda la tabella, ndr) di farmacie, abbigliamento, apertitivo al bar e cena fuori. Finché si arriva alla voce “grossa”: il carrello al supermercato, e più in generale la spesa in alimentari e prodotti per l’igiene e per la casa. La frutta, in particolare, negli ultimi due mesi costa meno di prima ma è un po’ tutta la dispensa a frenare i suoi prezzi. Solo la verdura è soggetta a fortissime variazioni da un mese all’altro, tuttavia ricorrenti nei mesi invernali a seconda del tempo che fa. Per il resto se non si muove foglia poco ci manca. A gennaio, lasciamo stare verdura e frutta, i prodotti alimentari o sono rimasti bloccati ai valori di scontrino di fine anno o sono aumentati. Leggermente ma di più rispetto ai mesi precedenti. Ciò si deve, tra l’altro, al fatto che proprio a gennaio le industrie fornitrici aggiornano i loro listini. Si va, nel dettaglio, dallo 0,1% della carne allo 0,3% del latte, dallo 0,4% del pesce allo 0,5% del pane e caffè, fino all’1,9% dell’olio, il cui prezzo però era andato giù sia a novembre che a dicembre.

«Anche se al momento non esistono statistiche “calate” sui target di reddito - osserva Antonio Ferronato, presidente regionale dell’Adoc, l’Associazione difesa e orientamento consumatori - possiamo sbilanciarci nel dire che in linea di massima, a parità di spesa, si può mettere più roba nel carrello, ad eccezione dei punti vendita dal target appunto più elevato, dove l’incremento dei prezzi tiene poiché si rivolgono a una fascia di cittadinanza che non si fa troppi conti in tasca. La deflazione c’è. Ma c’è pure tanto caos, e meno capacità di spesa, posto che cì’è chi perde il posto di lavoro o non lo sente sicuro. La deflazione, dunque, non è un vantaggio per il consumatore medio, poiché non è la causa della crisi, bensì ne è figlia». «I principi economici - fa eco Luisa Nemez, presidente dell’Otc, l’Organizzazione tutela consumatori - dicono che sarebbe meglio essere in leggera inflazione, in quanto vorrebbe dire che si è in una fase di crescita controllata. Ma nonostante la deflazione la gente non riesce a riempire il carrello. Crescono tasse collaterali e addizionali locali, la paga o la pensione risultano sempre più piccole. E anche chi potrebbe approfittarne spesso non lo fa perché non ha fiducia nel domani. È facile parlare di fiducia, chiedere alla gente d’averla quando si hanno le spalle coperte».

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