È guerra sulla piattaforma offshore di Venezia

I tre maggiori scali portuali dell’Alto Adriatico - Venezia/Chioggia, Ravenna e Trieste/Monfalcone - sono in rotta di collisione e non è detto che si possa evitare grazie all’imminente riforma della legge sui porti, voluta dal governo Renzi per rottamare le vecchie Autorità portuali. La forte competizione tra Venezia e gli altri, in particolare sul progetto della piattaforma off-shore da un miliardo e mezzo di euro riproposto dal presidente dell’Autority veneziana, Paolo Costa, è riesplosa ieri al convegno organizzato dal Partito Democatico veneziano al Palaplip di Carpenedo. La miccia della polemica tutta interna al Pd e alle Autority dell’Alto Adriatico l’hanno data i presidenti delle Autorità portuali di Venezia, Paolo Costa e di Ravenna, Galliano Di Marco; mentre, seppur invitata, non era presente la presidente dell’Autority triestina, Marina Monassi , a differenza del suo predecessore, Claudio Boniciolli - presente ieri - che in passato è stato anche presidente del Porto di Venezia. «Nell’alto Adriatico mancano le strutture portuali adeguate a gestire le grandi navi da carico di container che oggi continuano andare fino a Rotterdam - ha ripetuto Paolo Costa - noi siamo pronti ad andare al Cipe con il progetto della piattaforma off-shore al largo di Venezia per chiedere 500 o 600 milioni di euro al ministero delle Infrastrutture che si aggiungeranno ai 700 milioni dei privati e ad altri 300/400 milioni finanziati dall’Unione Europea». Durissima è arrivata la replica del presidente del Porto di Ravenna, Di Marco, che ha contestato apertamente Costa sia sui finanziamenti ministeriali per l’off shore, secondo lui «ancora tutti da ottenere», che quelli privati («ma dove sono e chi sono?» ha precisato) e sul fatto che ben l’86 % dei traffici portuali non ha niente a che vedere con i grandi cargo portacontainer. Per Paolo Costa, in ogni caso, «non ha senso parlare di competizione», né con Ravenna che «gode di agevolazioni tariffarie elargite dalla Regione Emilia per chi carica le merci sbarcate sul treno» e ancor meno «con i cugini giuliani» mentre resta valida l’idea «che ogni porto deve poter garantire l'accessibilità nautica per dare l'opportunità alle grandi navi mercantili di scaricare la merce e caricarla rapidamente, collegamenti ferroviari e stradali e tutti e tre questi porti hanno un problema su uno dei vari punti».
Debora Serracchiani, che non ha mai nascosto la sua contrarietà al progetto del porto off-shore veneziano, ha cercato di stemperare - in veste di vicesegretario nazionale del Pd - la sfida tra i porti di Trieste, Venezia e Ravenna che, a suo parere, devono «invece lavorare in sinergia e con una grande capacità strategica». L’occasione ravvicinata, ha spiegato la Serracchiani «è la proposta già messa a punto per lo Sblocca Italia che, speriamo, diventerà realtà in tempi brevi. Si tratta di una proposta di riforma strategica del settore portuale nazionale che parte dal riconoscimento di 14 grandi hub, tre dei quali si trovano nell’Alto Adriatico, per creare condizioni di una gestione dei flussi di merci e fare quello che l’Italia, purtroppo, non ha fatto per tanto tempo: avere una politica sui trasporti e sulla logistica che guardi ai nodi cruciali della portualità. Si tratta di mettere insieme i porti con gli interporti, con i raccordi ferroviari e le strade per superare la legittima competizione tra i porti e sviluppare le loro attività, conquistando insieme nuovi traffici». (g.f.)
Riproduzione riservata © Il Piccolo