Ebola, medico triestino in prima linea

C’è anche Trieste nella lotta contro ebola. Giorgia Argentini, infettologa di “Medici senza frontiere”, triestina doc, è una delle componenti della squadra sanitaria che a Bo, la seconda città della Sierra Leone, paese africano dov’è recentemente esploso un pericoloso focolaio del virus, ha curato centinaia di persone. Invitata dal Centro studi “Dialoghi europei” a raccontare la sua esperienza, Giorgia Argentini non ha lesinato particolari e dettagli. «Il virus preoccupa perché sta superando le frontiere – ha esordito – e la nostra organizzazione sta lavorando con sette centri di isolamento e due di transito per cercare di arginare il problema. I casi aumentano ogni settimana, mentre le risorse umane a livello medico sono scarse – ha aggiunto – a Bo c'erano inizialmente 35 posti letto, tutti subito occupati, oggi ne servino molti di più. Il rischio è – ha aggiunto - che in alcuni centri non ci sia un livello di sicurezza sufficiente per garantire la salute degli operatori. Esiste perciò il rischio di contaminazione estesa. Attualmente a Bo lavorano 276 operatori internazionali e 3208 locali – ha precisato Argentini – ma purtroppo la casistica ufficiale, che parla di 14mila casi scoperti finora e di 4mila decessi, rappresenta solo una parte del problema. Esistono, incontrollati, casi non denunciati, a causa di credenze popolari con famiglie che nascondono i cadaveri e li seppelliscono nei villaggi«.
«Attualmente – ha proseguito Argentini - per curare l'ebola si può soltanto isolare chi ha contratto il virus. L'unico vero trattamento è il recupero dei liquidi per via endovenosa. Il virus infatti li fa perdere. Sembra a prima vista un’operazione banale, ma in Africa, con le alte temperature e con gli scafandri che dobbiamo utilizzare per evidenti motivi di sicurezza, non si può stare più di un'ora accanto ai pazienti, mentre essi necessiterebbero di una presenza fissa e costante.
Altra difficoltà – ha concluso - il reinserimento di chi è guarito, perché la popolazione non si fida, spesso per ignoranza». Accanto a lei Mauro Giacca, biologo molecolare e direttore del Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologie (Icgeb). «
Per la prima volta – ha ricordato - il virus dell'ebola fu individuato nel 1967 in Germania, in un centro nel quale si facevano esperimenti sulle scimmie. Dopo l'esplosione di due focolai in Africa nel 1976, per parecchi anni non si registrarono più casi, fino a una quindicina di epidemie locali che si evidenziarono nei primi anni ‘90. Nel febbraio di quest'anno – ha continuato Giacca - il primo caso è stato registrato in Guinea e da quel momento siamo ai giorni nostri».
Ugo Salvini
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