Estorsione all’impresario edile: operai condannati ma latitanti

Sedici anni totali di carcere a due kosovari che minacciarono un connazionale a Trieste. Le intimidazioni: «Trentamila euro entro tre giorni o uccidiamo te e i tuoi cari»

Maria Elena Pattaro
Il tribunale di Trieste
Il tribunale di Trieste

Gli avevano concesso tre giorni di tempo per versare 30 mila euro, poi il conto sarebbe salito a 50 mila. In caso di rifiuto l’imprenditore edile avrebbe pagato con la vita: la sua e quella di moglie e figli. «Se non vuoi darmi quello che chiedo, ammazzo te e la tua famiglia». Alla consegna del danaro si erano presentati anche i carabinieri, che avevano arrestato in flagrante uno dei due presunti estorsori. Per l’altro erano scattate le manette poco tempo dopo.

L’imprenditore edile vittima di estorsione a Trieste: «Ha estratto la pistola e mi ha minacciato: voleva 30 mila euro»
L’operaio ha estratto l’arma all’esterno del Metà di via Revoltella (Foto Silvano)

Martedì mattina la giustizia ha presentato il conto ai due imputati, originari del Kosovo: 8 anni di carcere ciascuno per estorsione aggravata a scopo di rapina e 15 mila euro di provvisionale alla vittima, loro connazionale. Sedici anni in totale: una stangata, sempre che si riesca a rintracciarli. I due infatti sono latitanti da mesi. Arlind Stullca, 26 anni (difeso dall’avvocato Andrea Cavazzini) e Shkelzen Mazreku, 38 anni (assistito dall’avvocato Enrico Miscia) si sono dati alla macchia l’anno scorso dopo essere evasi dagli arresti domiciliari. Da allora dei due operai kosovari si è persa ogni traccia. Sul loro capo pende un mandato di arresto europeo, risalente all’epoca della violazione della misura cautelare.

Nel frattempo il processo penale in primo grado si è chiuso con una doppia sentenza di condanna, pronunciata ieri mattina dal Collegio del tribunale, presieduto da Enzo Truncellito (a latere Luca Carboni e Alessio Tassan). La pena corrisponde a quella chiesta dal pubblico ministero Matteo Tripani che, nella sua requisitoria, ha ripercorso la vicenda avvenuta a Trieste a gennaio del 2024. A dare il via all’inchiesta era stato l’impresario stesso: il 48enne si era presentato dai carabinieri dopo le pesanti minacce ricevute.

Secondo la ricostruzione della Procura, il 17 gennaio dell’anno scorso Stullca aveva abbordato l’impresario nel parcheggio del supermercato Metà di via Revoltella. I due si conoscevano di vista perché il giovane in passato gli aveva chiesto più volte di essere assunto nella sua ditta. Quella volta, invece, non era lì per chiedere, ma per esigere soldi. Si è presentato come emissario di un ignoto creditore, dicendo di essere stato a sua volta minacciato. La richiesta era perentoria: 30 mila euro in contanti da consegnare entro tre giorni. Per rafforzare l’intimidazione, Stullca aveva mostrato l’arma al 48enne e alcune foto tratte da Facebook di sua moglie e dei suoi figli.

Il giorno successivo era scattato il conto alla rovescia, scandito dalle minacce: «Se non vuoi darmi quello che ti chiedo ammazzo te e la tua famiglia». Questo il tenore dei messaggi ricevuti via chat dalla vittima. A inviarli, secondo l’accusa, era stato Mazreku. L’imprenditore, a quel punto, denuncia tutto ai militari dell’Arma, che organizzano un incontro-trappola. L’appuntamento è in via Pascoli il 22 gennaio, con i carabinieri appostati nei paraggi e le microspie nascoste nell’auto della vittima per captare la conversazione. L’impresario consegna a Stulka 15 mila euro precedentemente tracciati (la metà della somma pretesa dai malviventi). Il 26enne viene arrestato pochi minuti dopo, mentre si dirige col pacco in piazza Garibaldi.

Tempo un paio d’ore e il complice Mazreku subisce la stessa sorte: gli investigatori risalgono a lui attraverso le chat. «È verosimile che Stullka abbia selezionato la vittima, avvalendosi della complicità di Mazreku – ha affermato il pm –. Durante l’interrogatorio si sono rimpallati a vicenda la responsabilità di aver ideato l’estorsione. Ciascuno ha ritagliato per sé un ruolo di mero esecutore. Ma le loro versioni non sono credibili: sono state smentite dalla persona offesa e dalle indagini».

I difensori hanno tentato di alleggerire le contestazioni, sia ribadendo il rimpallo di responsabilità, sia sottolineando, oltre le altre cose, che non c’è prova che l’arma fosse vera (e non giocattolo) e che l’estorsione sarebbe soltanto tentata visto che l’arresto di Stullka aveva impedito agli imputati di intascare il denaro. Ma i giudici, evidentemente, la pensano in modo diverso. —

Argomenti:cronaca nera

Riproduzione riservata © Il Piccolo