Fare squadra insieme opportunità di rinascita

Diciamoci la verità. Alzi la mano chi per un attimo non ha strabuzzato gli occhi leggendo che il nuovo direttore dello storico Il Piccolo di Trieste (140 anni di vita) era lo stesso che da anni, in due tornate, è stato ed è ancora alla guida del Messaggero Veneto di Udine. Chi vi scrive di primo acchito, era tra questi. Ma ci ha messo un attimo per riflettere e ritrovarsi poi nei suoi panni. Sì, perché esattamente vent’anni or sono al sottoscritto era toccato scrivere nel suo piano editoriale come nuovo responsabile dell’informazione regionale della Rai per il Friuli Venezia Giulia, molti dei concetti illustrati dall’attuale direttore ai lettori del Piccolo.
Raccogliendo mugugni, ma anche consensi, vent’anni or sono sostenevo che una regione di 1 milione e 200 mila abitanti (poco più di un quartiere romano, meno di un sobborgo di Londra, molto meno di un… rione di Pechino!) doveva ragionare se non come un’unica grande città, quanto meno come una grande comunità. Con le sue differenze (una risorsa), le sue peculiarità (un valore aggiunto), le sue storiche diversità (la sua vera forza). A differenza del progetto illustrato giorni fa alla redazione dal collega Monestier, il mio piano passò solo a larga maggioranza (non all’unanimità) con alcuni precisi distinguo facilmente individuabili in chi lavorando da Udine ragionava con la paura di esser sottomesso ad un fantomatico potere triestinocentrico. Aggettivo contro il quale ho combattuto (strenuamente, ma mai del tutto vittoriosamente…) per i tredici anni che mi hanno visto alla guida di quella redazione.
Eravamo l’unico giornale regionale nel Friuli Venezia Giulia, combattendo a lungo, contro luoghi comuni e mal di pancia: dell’utenza, delle istituzioni, della politica. A Trieste si diceva che parlavamo solo del Friuli; in Friuli che la nostra visione non andava oltre la riviera barcolana. A Gorizia c’era qualche lamento, mentre Pordenone spesso strizzava l’occhio al limitrofo Veneto.
Una battaglia difficile, con infinita aneddotica che non può e non vuole trovare spazio in questa mia riflessione. Ma la missione che con la redazione abbiamo cercato di portare avanti per tredici anni in Rai, può forse adesso essere completata, con magari migliori possibilità di successo grazie a questo strano matrimonio friul-giuliano, tenuto a battesimo da un veneto. Strana coincidenza, veneto come il sottoscritto: così leggo sulla mia carta d’identità, pur restando triestino nell’animo.
Quando il direttore Monestier scrive che Trieste e Udine sono differenti ed a triestini e udinesi piace così, dice una sacrosanta verità. Che condivido e che nessuno vuole e può cancellare. Ma diversità non deve voler dire rivalità, identità non significa contrapposizione, così come le tradizioni ed i caratteri anche se diversi possono rappresentare una forza in più se coniugati con parole come sinergia, unità e solidarietà. Quando il direttore dice – a ragione - che il porto di Trieste è il porto della regione, banalizzando aggiungo che i friulani che atterrano al Trieste Airport non devono sentirsi derubati di alcunchè, perché quello che sorge a Ronchi dei Legionari (provincia di Gorizia) è l’aeroporto che serve il Friuli Venezia Giulia, non solo Trieste. Il nome della città è una sigla convenzionale ed internazionale per le compagnie aeree. A tale proposito, cosa dovrebbero dire gli abitanti della Venezia Giulia quando, nove volte su dieci, tv e giornali sintetizzano con la sola parola Friuli queste terre? Sbagliano, è chiaro, perché non ho mai letto la regione che ha come capoluogo Bologna esser chiamata solo Emilia. Ma vogliamo far la guerra per questo? Io ci scherzai, con un pezzo finito anni fa in prima pagina su questo giornale dove l’incipit era “siamo tutti friulani”, alzando simbolicamente bandiera bianca davanti a chi si rifiutava di scrivere per inteso la parola Friuli Venezia Giulia. Ma era poco più che una goliardata. In pochi capirono, soprattutto in quel Friuli che ho amato e che per varie ragioni (in primis sportive, avendo avuto la fortuna di seguire gli anni d’oro dell’Udinese) continuo ad amare.
Ecco perché la scelta di affidare ad un direttore unico due giornali che restano distinti a difesa di differenti entità e sotto la guida di due condirettori nel confronto dei quali conosco e riconosco grandi qualità professionali, credo rappresenti oggi una grande opportunità di crescita, sviluppo e -se permettete, visti i tempi – rinascita di questo territorio. “L’unione fa la forza” non può essere il più originale dei claim, ma deve essere un punto di partenza capace di coinvolgere la politica regionale in primis ed a ruota le categorie economiche, gli enti, le istituzioni e gli organismi che operano in una regione chiamata Friuli Venezia Giulia, senza “trattini” di sorta. Ma più di tutti consapevole e coinvolta dev’essere l’opinione pubblica, la gente, gli abitanti di questa nostra regione, che può e deve restare “speciale”. Buon lavoro colleghi.
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La risposta del Piccolo
Gentile Marzini,
grazie per aver illustrato la lucida follia che contraddistingue l’attività professionale di entrambi. Debbo aggiungere, tuttavia, che le rimostranze che mi sono giunte per “l’insano progetto” sono state assai contenute. Credo sia perché quel che conta, più degli slogan, è il rispetto della verità e delle persone. A queste ci atterremo.
(OM)
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