Fatture false per sette milioni nei negozi cinesi
Il pm Tito chiude l’inchiesta: tre triestini vendevano i finti documenti, 81 indagati

Un giro di fatture false per oltre 7 milioni di euro è partito da Trieste e ha riguardato sostanzialmente un centinaio di attività imprenditoriali gestite da cittadini cinesi. La Tributaria ha messo le mani su un business da capogiro realizzato e gestito a vario titolo da tre triestini: Massimiliano Campisi, 41 anni, commerciante di abbigliamento ed ex titolare di una palestra; Francesco Paolo Settimio, 42 anni, imprenditore; e Cosimo Minenna, 49 anni, operaio della Ferriera.
I tre sono stati arrestati nel corso delle indagini coordinate dal pm Tito. L’inchiesta si è conclusa nei giorni scorsi dopo diciotto mesi di indagini. Sotto accusa sono finiti per i reati di emissione e utilizzo di fatture inesistenti in totale 81 persone di cui 61 sono cinesi. E proprio a causa del terremoto giudiziario che si è abbattuto sulla rete commerciale della comunità cinese triestina una decina di negozi del Borgo Teresiano ha chiuso discretamente i battenti: cessioni d’impresa o semplici cessazioni di attività. È emerso che l’attività di un buon numero di commercianti orientali si basava proprio sulle fatture prodotte dai tre triestini che poi venivano «vendute» da impresa a impresa. Con quei documenti fiscali i cinesi sono riusciti ad abbattere i costi di gestione e quindi aumentare i guadagni, senza ovviamente pagare le corrispondenti imposte.
A fare scoppiare pubblicamente il caso era stato un anno fa l’arresto di Francesco Paolo Settimio, abitante in città in via Cologna 3. L’uomo era stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Enzo Truncellito su richiesta del pm Raffaele Tito. A portare a lui erano state le dichiarazioni di Massimiliano Campisi che qualche mese prima - in arresto per bancarotta fraudolenta - aveva raccontato al pm Tito come funzionava il meccanismo delle fatture false. Aveva spiegato che «per lo svolgimento dell’attività nel settore dell’abbigliamento aveva acquistato solitamente merce ”in nero” dai grossisti cinesi».
Le fatture venivano vendute a commercianti cinesi al prezzo del 12-15% dell’imponibile. Somma questa che finiva, secondo l’accusa, direttamente nelle tasche di Settimio. Di lui un testimone cinese aveva dichiarato: «Con i suoi documenti ha tappezzato tutta Trieste e tutta Firenze».
Cosimo Minenna era stato arrestato all’uscita dalla Ferriera a fine ottobre dello scorso anno. Gli sono state attribuite fatture false per un milione e mezzo di euro. Per gli investigatori della Tributaria avrebbe prodotto e venduto documenti contabili contraffatti appoggiandoli ad alcune partite Iva relative a ditte in realtà inesistenti, che erano intestate a lui.
Dopo questo arresto era scattata l’indagine a tappeto. Gli investigatori della Tributaria avevano passato al setaccio numerosi negozi di abbigliamento cinesi di Borgo Teresiano, ma hanno anche controllato altre attività riconducibili a cittadini cinesi che si trovano sia a Bologna che a Prato: tutti «clienti» di Francesco Paolo Settimio e anche del suo «socio» Vincenzo Varesano, 70 anni, per il quale era stato chiesto l’arresto che però il gip non aveva disposto.
Acquistavano da loro le fatture con cui aggiustavano, secondo il pm Tito, i bilanci e la contabilità delle aziende. Con una spesa modesta sistemavano tutte le pendenze. Aveva osservato il gip Truncellito: «Siamo di fronte a un’attività criminale a carattere ”professionale” e di ampia portata, che fotografa pure le devianze di settori dell’economia in mano a soggetti di nazionalità cinese».
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