Firmò l’idoneità all’Ospizio Marino Dirigente Azienda sanitaria assolto

La Procura aveva impugnato in Appello la sentenza di Francesco Lovaria accusato di falso ideologico

Laura Borsani /GRADO

Il dottor Francesco Lovaria, 66 anni, dirigente del Servizio di prevenzione dell’ex Azienda sanitaria Isontina, è stato assolto dall’accusa di falso ideologico in relazione all’Ospizio Marino di Grado, anche dalla Corte d’Appello. Aveva rinunciato alla prescrizione per affrontare il processo. Era l’unico imputato rimasto dei tre dirigenti dell’Ass 2 imputati per lo stesso reato, l’ex direttore sanitario Fulvio Calucci era stato assolto, mentre per l’allora direttore dei Dipartimento di prevenzione e igiene aziendale era intervenuta la prescrizione. Il tutto faceva riferimento all’autorizzazione all’esercizio di struttura di media complessità da parte dell’istituto Barellai, rilasciata il 22 giugno 2010, a fronte dell’attestazione di idoneità a seguito di un sopralluogo, ritenuto dalla pubblica accusa, rappresentata dal pm Valentina Bossi, mai avvenuto. Il Tribunale di Gorizia, con il giudice monocratico Concetta Bonasia, il 29 maggio 2018 aveva pronunciato sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato. E ora a distanza di 10 anni dai fatti contestati, la Corte d’Appello ha confermato l’assoluzione. La vicenda risale al 16 luglio 2010, quando all’Ospizio era andato in tilt, ancora una volta, il condizionatore. Erano intervenuti i carabinieri del Nas, e il giorno successivo la struttura era stata sequestrata. I pazienti erano stati evacuati e, pur con il dissequestro avvenuto una decina di giorni dopo, l’Ospizio Marino aveva riaperto nel 2017. Il pm Bossi, nell’ambito del procedimento di primo grado, aveva definito «intenzionale» la chiusura del Barellai, rientrante tra le strutture della Fondazione Ospizio Marino Onlus, in liquidazione da oltre un anno. Le verifiche inquirenti avevano rilevato elementi non conformi alla norma, in ordine all’impianto termico, elettrico, antincendio, ma anche omesse manutenzioni. La documentazione acquisita era risultata incompleta e non esaustiva. La pubblica accusa aveva rilevato inoltre la mancanza di autorizzazioni per il piano terra, ad uso ambulatoriale, ed il primo piano di Rsa, considerando anche l’aspetto dell’accreditamento e la mancata conformità urbanistica. Lovaria aveva sottoscritto la relazione in ordine al sopralluogo del 22 giugno 2010, attestante il fatto che le condizioni impiantistiche tecniche e organizzative dell’Ospizio, rispetto ad una visita eseguita nel febbraio 2006 e seguita da relativa autorizzazione, non erano cambiate non evidenziando criticità. Aveva quindi firmato l’autorizzazione di idoneità, ritenuta un rinnovo, da parte della Commissione di vigilanza che presiedeva. Autorizzazione per il pm «non corrispondente al vero», a fronte di controlli in realtà mai computi.

Era stato quindi contestato il dolo generico, per il quale è sufficiente la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione. Il pm aveva ribadito anche nel ricorso alla Corte d’Appello che il reato sussiste non solo quando la falsità è sia compiuta senza intenzione di nuocere, ma anche quando vi sia la convinzione di non produrre alcun danno, richiamandosi ad una sentenza di Cassazione in ordine all’elemento soggettivo del reato di falso. Il pm Bossi in primo grado aveva richiesto la pena di un anno e alla Corte d’Appello la modifica della sentenza nel dichiarare la responsabilità penale del dirigente. Il difensore, avvocato Riccardo Cattarini aveva sostenuto che l’attività amministrativa in capo a Lovaria riguardava il solo primo pian terreno della struttura riabilitativa, quindi l’autorizzazione rilasciata era relativa «esclusivamente a prestazioni ambulatoriali di medicina fisica e di riabilitazione, non per l’attività di centro ambulatoriale di riabilitazione», anche «senza alcuna valutazione o rilievo al fine dell’accreditamento dell’intera struttura». Cattarini aveva inoltre osservato che «il dolo di falso va provato e va escluso tutte le volte in cui la falsità risulti essere oltre o contro l’intenzione, così come dovuta ad una leggerezza o negligenza». All’esito della sentenza assolutoria d’Appello, il legale ha affermato: «Non è possibile che un processo duri 10 anni. L’ultima parte della carriera del dottor Lovaria, dirigente stimato, è stata attraversata da questo processo, che come sempre avviene lo preoccupava, seppure convinto della propria innocenza. L’appello del pubblico ministero non ha fatto altro che prolungare questa situazione di disagio».—

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