Trieste dice addio a Franco Firmiani, «un maestro di vita»

Si è spento a 88 anni: aveva costruito la sua carriera accademica sulla passione per l’arte del territorio

Giulia Basso
Il professor Franco Firmiani (a destra nella foto)
Il professor Franco Firmiani (a destra nella foto)

Cinquanta ex studenti riuniti per festeggiare i suoi ottant’anni. Non una cerimonia formale, ma una vera festa dove si mescolavano ricordi universitari, battute in dialetto triestino e quella passione per l’arte che Franco Firmiani sapeva trasmettere come pochi altri. Era il 2017, e quel professore dall’ironia contagiosa aveva voluto accanto a sé non solo gli allievi di Trieste, ma anche quelli sparsi per il Friuli, segno di un legame che andava ben oltre le aule accademiche.

Questo mercoledì Franco Firmiani si è spento a 88 anni: lascia la figlia Adriana, che gli è stata vicina fino all’ultimo. Già docente di Storia dell’arte veneta all’Università di Trieste, studioso raffinato del neoclassico e della pittura ottocentesca locale, Firmiani era molto più di un accademico: era un maestro di vita che sapeva entrare con garbo nella sfera personale dei suoi studenti, trasformando ogni lezione in un momento di crescita umana oltre che culturale.

«Con Franco affioravano ogni volta memorie della stagione d’oro dell’Istituto di Storia dell’Arte, nel glorioso edificio di via dell’Università. Tutt’altro che accademico e compassato, Franco colpiva per la schiettezza tutta triestina, anche nel dialetto che amava e che usava con amici e colleghi appena concluse le occasioni ufficiali».

Laureato nel 1963 con Roberto Salvini, prima dell’arrivo di Decio Gioseffi, Firmiani aveva costruito la sua carriera sulla passione per l’arte del territorio. Il primo catalogo del Museo Revoltella, realizzato nel 1970 insieme a Sergio Molesi, aveva segnato l’inizio di un rapporto privilegiato con le istituzioni culturali. I suoi studi sul neoclassico locale, le ricerche sulla pittura veneta del Settecento e i contributi su scultori come Jean Antoine Houdon lo avevano consacrato figura di riferimento per la storia dell’arte regionale.

«Era un grande esperto della pittura triestina, un uomo ironico che aveva un ottimo rapporto con i suoi studenti, che poi seguiva anche dopo la laurea», racconta con affetto Nicoletta Zanni, già docente di Museologia e Critica d’arte all’Università di Trieste, che lo ha conosciuto negli anni Settanta e ne ha portato avanti l’eredità in ambito accademico.

Diana Barillari, storica dell’architettura, ne sottolinea il ruolo umano: «Ironico, affettuoso, riusciva a riportare anche concetti difficili a una sana dimensione, pragmatica e umana. Ha fatto da contrappunto ideale alle vette innevate e lontane di Decio Gioseffi».

Un equilibrio perfetto tra rigore scientifico e calore umano che ha formato generazioni di studiosi e studiose, alcune diventate figure di primo piano nel panorama culturale locale. Ma ciò che rendeva unico Firmiani era la sua capacità di trasformare l’università in una grande famiglia. Le gite d’istituto di fine anno accademico diventavano occasioni per approfondire non solo l’arte, ma la musica e il teatro, sue grandi passioni.

«L’ho conosciuto prima come suo studente, quindi come collega e assiduo frequentatore della prima galleria, con cui c’era il rito di bussarsi alla porta per scambiarsi opinioni sullo spettacolo della sera precedente», rammenta Paolo Quazzolo, docente di Storia del Teatro. Negli ultimi anni, nella sua casa di San Giovanni, Firmiani aveva mantenuto quella lucidità che lo caratterizzava. «In grande confidenza mi ha detto: Nicoletta, è ora che io vada da un’altra parte” – confida la Zanni – Era consapevole della sua età, ma sempre con un velo di speranza».

Con Franco Firmiani se ne va un pezzo di quella università “che non c’è più”, dove i rapporti umani contavano quanto la ricerca e un professore poteva diventare amico per la vita.

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