Fu la colonia dei figli dei cantierini

Realizzata dai fratelli Cosulich negli anni Venti per le famiglie dei suoi dipendenti
Bonaventura Monfalcone-12.01.2018 Isola dei bagni-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-12.01.2018 Isola dei bagni-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Il salso e le intemperie hanno iniziato a metterne a nudo lo scheletro di cemento armato, ma al centro della veranda, al piano rialzato, un veliero continua a navigare imperterrito nel granigliato steso nel 1920. La palazzina affacciata sulla spiaggia apparteneva alle costruzioni realizzate dal Cantiere navale triestino dei fratelli Cosulich per la colonia marina riservata ai dipendenti della fabbrica e ai loro famigliari.


Uno dei servizi che, in una logica di company town figlia del capitalismo paternalistico di cui i Cosulich si fanno interpreti, vedono la luce negli stessi anni, quelli che vanno appunto dal 1920 al 1926. Ad affiancare la colonia ci sono gli alberghi per gli operai e gli impiegati celibi, lo stadio Costanza Ciano, l’agraria, l’emporio, il teatro.


Nella colonia estiva del cantiere venivano impegnati, per gestire le attività sociali, anche i maestri delle scuole di cui pure era dotato il rione.


Nella palazzina intanto il tempo sembra essersi fermato, non tanto agli anni ’20, ma ai ’70 dello scorso secolo. Gli arredi sono quelli di quasi una cinquantina d’anni fa. Ci sono ancora letti e materassi, squarciati, armadi e cassettiere. Al piano superiore resti di tende da sole garriscono nel vento, schioccando. Quasi un eco del lavoro del porto, che si profila oltre la diga che dall’Isola corre parallela alle banchine. Si apre sul golfo di Panzano la facciata di questa cugina balneare delle ville e delle case di quartiere operaio di Panzano. Fino agli anni ’40, per raggiungere l’Isola, c’era un regolare servizio di vaporetto che assisteva chi non aveva a disposizione una barchetta di qualsiasi tipo. Molti ragazzi di allora, peraltro, la raggiungevano a nuoto da Marina Vecia (l’attuale prolungamento della banchina portuale), in una “prova di forza” molto praticata all’epoca.


La palazzina è stata transennata, inagibile ben prima che la spiaggia chiudesse, alla fine dell’estate del 2013, diventando inaccessibile ai monfalconesi che non la presero proprio benissimo. Per rendere di nuovo accessibile la spiaggia, se non il resto, si formò anche un comitato. Dal retro, dove i serramenti originali si fanno ancora riconoscere, quasi chiedendo di essere salvaguardati assieme all’edificio, pochi passi e si raggiunge una grande rimessa che custodisce trattori e rimorchi, un seggiolone da arbitro di tennis, mobili in disarmo e vecchi arnesi, mentre un gatto spaventato sgattaiola da un foro nel muro.


Di fronte alla spiaggia sopravvivono tuttora due enormi blocchi di cemento: erano tra le due guerre le banchine di ormeggio dei Cant Z, gli idrovolanti costruiti nei cantieri navali. Sui blocchi si arrampicavano tutti coloro, soprattutto i ragazzini, che volevano esibirsi nei tuffi. L’Isola è stata collegata alla terraferma nel dopoguerra con un nastro d’asfalto di 200 metri che costeggia il centro velico Hannibal.
(la. bl.)


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