Giardino di via San Michele Sessant’anni da festeggiare

Un giardino pubblico impreziosito da alcune opere d’arte, ma soprattutto dalla volontà e dalla determinazione di chi lo frequenta giornalmente con i propri bambini e vuole continuare a farlo. Un giardino difeso dall’incuria, dall’indifferenza e dalla generalizzata carenza di fondi necessari a mantenerlo degnamente in vita.
Nel cuore della città vecchia tra le vie San Michele e della Cattedrale sessant’anni fa, il 3 novembre 1953, in piena occupazione angloamericana veniva inaugurato dal sindaco Gianni Bartoli l’unico spazio pubblico di ricreazione destinato ai bambini di quel rione abbarbicato sul colle che parte dal ghetto per raggiungere San Giusto. In questi sessant’anni di vita il giardino San Michele ha rischiato più volte la chiusura e l’abbandono; è stato devastato da vandali, vilipeso da delinquenti. Ma come l’Araba fenice è risorto a nuova e miglior vita grazie all’associazione An Dan Des, entrata in scena nell’aprile del 2000 grazie a un accordo sottoscritto con il Comune.
Ora l’associazione celebra questo anniversario del “suo” giardino e ne rilancia il ruolo sia sotto l’aspetto dell’accoglienza per i bambini e le loro mamme, sia come attrazione per i turisti che salgono verso il colle di San Giusto. Il prossimo anno nel perimetro originario verrà inserita la cosiddetta “campagna Prandi” oggi tristemente abbandonata. Questa “campagna” che prende il nome degli antichi proprietari si estende dal limite destro del giardino fino all’edificio che ospita il Museo civico di Storia e Arte con l’annesso orto lapidario. «Nella vecchia proprietà dei Prandi esiste una grotta artificiale, costruita nell’800, la cui volta è zeppa di stalattiti. Sarà un’attrazione per tutti», racconta Laura Flores, animatrice dell’associazione che dal giardino pubblico ha tratto la propria ragione, esistenza e sviluppo. I soci sono circa 200, si occupano della manutenzione ordinaria e del minuto mantenimento. Gestiscono una cucina e organizzano corsi e workshop delle più svariate materie e discipline: yoga compreso.
Di recente l’associazione ha lanciato una sfida che si rifà alle origini del giardino. Nei primissimi Anni Cinquanta quello spazio dedicato ai bambini e ai ragazzi di città vecchia era stato trasformato da area abbandonata a se stessa, in uno spazio pubblico dotato di piste da pattinaggio, altalene, taboga e altri giochi dagli operai della Selad, una istituzione voluta dal Governo militare alleato per dare un lavoro alle migliaia di disoccupati triestini. Lo spirito era quello del New Deal, il nuovo corso di riforme sociali ed economiche promosse dal presidente Usa Franklin Delano Roosevelt per risollevare il suo Paese dalla Grande depressione innescata dalla crisi del 1929.
La Selad - Sezione lavoro aiuto disoccupati, come scrive Massimo Gobessi nel suo bel libro “Pala e picon”, si riprometteva di ridare fiducia ai triestini rimasti senza lavoro e reddito attraverso la ricostruzione di opere pubbliche eseguite in economia, a beneficio della comunità. Giardini, palazzi, strade, chiese, cimiteri, fognature, muraglioni di contenimento, campi sportivi devastati dai bombardamenti aerei della guerra furono ripristinati e riadattati dalle migliaia di disoccupati inquadrati nella Selad, che rispondeva in un verso alla Divisione Lavori e Servizi pubblici del Governo militare alleato affidata al tenente Usa Angelo Monici, e nell’altro alla struttura tecnica del Comune di cui era ingegnere capo Bruno Meyer.
Oltre a dare lavoro, la Selad ricostruì gran parte della città a costi contenuti, calmierando il mercato spesso condizionato dagli appetiti dei costruttori. Qualcosa di simile si ripromette di fare oggi, in scala minore, l’associazione. Il lavoro manca, molti non sanno come arrivare alla terza settimana del mese mentre lo stato di manutenzione di scuole, strade, edifici pubblici, spazi destinati alla ricreazione, è in condizioni pietose.
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