Gli dei e i miti dell’Apocalisse alle risorgive del Timavo

Luogo di culto millenario oggi attrae gli appassionati della spiritualità New Age La grotta segreta della divinità del Sole. La profezia della chiesa di San Giovanni
Di Giovanni Tomasin
Silvano Trieste 23/08/2016 Timavo, Mitreo
Silvano Trieste 23/08/2016 Timavo, Mitreo

GIOVANNI TOMASIN. L’abside gotica della chiesa di San Giovanni in Tuba è avvolta nell’ombra dei grandi alberi, velata dalla foschia che striscia dalle risorgive del Timavo. È una zona strana, questa. Nel corso dei millenni ha ospitato templi pagani dedicati a divinità locali oppure provenienti dalla lontana Persia, monasteri e chiese attorno alle quali si svilupparono leggende apocalittiche, e ancora oggi continua ad attrarre i seguaci delle correnti neopagane della New Age, nonché qualche satanista in gita notturna.

In una storia così lunga che pare non avere inizio, bisogna stabilire una data d’avvio. La nostra sono i decenni fra il III e il II secolo avanti Cristo. A quei tempi le foreste che ancora oggi avvolgono la foce del Timavo divennero una sorta di Vietnam per le legioni romane. Il fiume sotterraneo segnava infatti l’antico confine fra i celti Carni, caduti da tempo sotto il dominio di Roma, e la fiera popolazione degli Istri. Ci vollero due campagne militari per sottomettere questa terra di pirati e guerrieri: i romani, non proprio dei dilettanti nell’arte della guerra, faticarono non poco per avere ragione degli indigeni.

L’antico confine, luogo in cui il fiume emergeva alla luce del sole dopo un lungo tragitto nel regno di Ade, divenne subito un luogo di culto anche per i nuovi dominatori. Altari e templi celebravano il dio Timavo, nume ancestrale della zona, ma anche Diomede, l’eroe dell’Iliade che secondo il mito sarebbe passato da queste parti. Laddove oggi sorge la chiesa, allora c’era un tempio dedicato alla Speranza Augusta.

Ma il luogo più inconsueto è nascosto nelle colline poco distanti dalle foci. Bisogna addentrarsi nei sentieri con una buona scarpinata prima di avvistare la recinzione che spunta nel mezzo della macchia. Al suo interno si trova la grotta del Mitreo, un unicum archeologico in Italia. Una scalinata si addentra nella terra portando a una cavità carsica che un tempo era adibita all’adorazione di Mitra, una divinità proveniente dall’Oriente.

Come racconta il blog Carso segreto, la grotta fu scoperta nel 1965 da un gruppo di speleologi. Fino ad allora l’ingresso era rimasto celato agli occhi di tutti da detriti accumulati lì da quando i cristiani distrussero il tempio, nella tarda antichità.

I reperti trovati al suo interno vennero distribuiti nei musei della Regione, ma alcuni calchi sono presenti oggi all’interno del sito. Il più impressionante è un bassorilievo (l’originale è custodito al museo archeologico di Aquileia) raffigurante una tauroctonia: inciso nella pietra, il dio Mitra è rappresentato nell’atto di sgozzare un toro, attorniato da animali simbolici delle costellazioni celesti.

La storia di questa divinità è affascinante: membro del pantheon originario dell’India e dell’antica Persia, fu cooptato dallo zoroastrismo fra gli dei che aiutavano il sommo Ahura Mazda nella sua lotta contro le tenebre. Un nume guerriero e solare che affascinò i legionari romani di stanza in Oriente, ai confini con l’impero partico prima e quello sassanide poi.

Avidi collezionisti di religioni, i romani fecero proprio il dio persiano, che divenne il protettore più diffuso fra i soldati dell’esercito imperiale, sovrapponendosi al culto di Sol Invictus. È probabile che sia stato proprio qualche legionario a portare Mitra sulle sponde del Timavo. Il sito è quanto mai appropriato: vicina al punto in cui il fiume emerge dalle viscere della terra, la volta della grotta del Mitreo è rotta da una fessura da un cui un singolo raggio di luce penetra nelle tenebre. Sede ideale per i misteri del dio solare.

Oggi la grotta, così come le foci, è meta di sporadici pellegrinaggi da parte di gruppi neopagani. È capitato a chi scrive di trovare segni di piccole offerte davanti al bassorilievo del dio, e anche di sorprendere una signora di bianco vestita mentre si accingeva a celebrare nella grotta chissà quale rito. Pare che la zona sia apprezzata anche da qualche satanista che pare aver confuso il solare Mitra con il Portatore di luce, Lucifero.

Mossa quanto mai azzardata. Secondo alcuni studi, infatti, i tratti del dio iranico sarebbero stati ereditati dal cristianesimo nascente. La lotta persiana della luce contro le tenebre sarebbe confluita nella figura dell’arcangelo Michele, guerriero celeste destinato a sconfiggere l’Avversario durante la Battaglia finale.

Non è l’unico passaggio dal paganesimo al cristianesimo che, da queste parti, abbia preso una piega apocalittica. Come accennato in precedenza, la zona di culto delle foci del Timavo fu cristianizzata ai tempi in cui l’impero romano adottò la nuova fede. Nella tarda antichità un monastero sorse al posto del tempio della Speranza Augusta. Nei secoli successivi venne sostituito dalla chiesa di San Giovanni in Tuba, la cui parte più antica è uno dei pochi esempi di gotico delle nostre terre. Coerentemente con il carattere “fluviale” della spiritualità in questo luogo, la chiesa è dedicata al Battista.

Ma il termine «Tuba» che l’accompagna ha generato una curiosa leggenda popolare: intendendo la parola nel senso di “tromba” le genti del posto hanno immaginato che i morti nel vicino cimitero sarebbero stati i primi a levarsi dal sepolcro al primo squillo nel Giorno del Giudizio. Pare che in realtà il significato abbia poco a che fare con strumenti musicali celesti e molto a che fare con le risorgive del Timavo: «tuba» è infatti affine al nostro termine tubo, tubatura. Inutile dire che la lettura apocalittica è più affascinante. Anche perché una versione in miniatura del Finimondo ebbe luogo proprio qui cent’anni fa, quando il sangue scorse come un nuovo fiume durante alcune tra le più feroci battaglie della Grande guerra.

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