Gli stranieri a Trieste. Una ricerca inedita smonta miti e slogan

Studiosi di Scienze politiche hanno studiato le comunità «Multiculturale? Un concetto ormai da supermarket»

TRIESTE . Città multiculturale? Lo slogan è ormai statico come una foto messa in scatola. Mentre il mondo cammina, ci sono migrazioni in corso, la legislazione europea introduce i concetti di cittadinanza e gli studiosi quello di «interculturalità» come modello vivo e in movimento, capace anche di governare gli inevitabili conflitti che i tessuti «multiculturali» portano con sè (e lo stiamo vedendo).

Ma soprattutto: «La storia non è un supermarket dove prendere notizie del passato come da uno scaffale per utilizzarle nel dibattito politico, cosa che tuttora avviene». Lo ha detto ieri la storica dell’economia Loredana Panariti nell’ambito di un convegno organizzato in Prefettura per presentare una originale ricerca-inchiesta dal titolo appunto «Trieste multiculturale», curata dal preside di Scienze politiche Roberto Scarciglia, scritta da docenti e ricercatori triestini, pubblicata dal Mulino, finanziata dal Fondo Trieste. E il supermarket più fornito è a Trieste il ricco periodo asburgico, col porto «porta dell’Oriente e del Nord» cui ci si richiama ancora, e con una «multiculturalità» ormai pigramente data per scontata. Ma che cosa c’è sotto la bandiera, e oltre?

Gli autori, con Scarciglia, hanno intervistato tutte le comunità straniere presenti a Trieste. I musulmani, scrivono Diego Abenante e Federico Battera, sono «2400 presenze su 14.300 stranieri censiti nel 2009», ma anche qui accolti da «un’opinione pubblica che oscilla tra convivenza e tolleranza, ma per lo più indifferenza, ignoranza e sospetto». I cinesi sono a Trieste la comunità più numerosa della regione, e hanno risposto a un dettagliato questionario. I sinti, secondo Valentina Volpe, sono «stanchi di essere vento» e hanno bisogno di politiche abitative al di fuori del «campo di emergenza». Indagati anche Croazia, Slovenia e Austria.

«Siamo sicuri che la multiculturalità del passato, diventata a Trieste un mito, possa rivivere oggi? Ieri era il frutto di crescita economica e urbanistica, oggi il bacino culturale è ben più vasto dell’impero asburgico» ha ricordato Roberto Toniatti, triestino che insegna a Trento, criticando in pieno la parola-chiave: «Multiculturalità denota una situazione statica, dove ogni straniero può coltivare per se stesso la propria identità, invece l’interculturalità è la base prima dell’integrazione, e poi dell’assimilazione, favorite dalla laicità, che a Trieste è il risultato della comprensenza di tante confessioni, ma anche la loro garanzia». Concetti ripresi da Antonio Papisca, direttore del Centro diritti umani di Padova, che invita i Comuni a riscrivere i propri statuti, alla luce delle convenzioni internazionali sui diritti umani, per introdurre «un codice di simboli» condiviso: «Così si passa dal vivere accanto al fare insieme».

Con l’occhio «economico» Panariti ha messo in guardia: «Ci sono miti usati dalle città anche per ottenere risorse dal governo: la discussione politica usa per il Superporto il richiamo al porto di Maria Teresa. Ma non bisogna più vedere Trieste come un’isola, al contrario va capitalizzata la lezione: Trieste sotto l’Austria ha costruito fiducia per gli stranieri». Trieste dunque sembra un’isola? Lo ha confermato Paola Piras, dell’Università di Cagliari. Parlando di immigrazione e stranieri la prima cosa che ha notato (dopo «i 160 paesi presenti oltre le comunità») è stata proprio una strana somiglianza con la Sardegna.

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