Grado. Indagato il consiglio d’amministrazione

Accusati di malversazione ai danni della Regione l’ex presidente Medeot e i consiglieri Marin, Oriti, Morra, Pamio e Vosca

GRADO. Cin cin all’Ospizio marino. A un anno dalla chiusura forzata della struttura sanitaria la Procura di Gorizia ha inviato i primi avvisi di garanzia sul colossale crac da 28 milioni di euro. Dopo dieci mesi di indagini il pool coordinato dal procuratore capo Caterina Ajello ha spedito la letterina verde ai componenti del primo consiglio di amministrazione dell’ex Fondazione Ospizio in carica nel 2001.

Si tratta dell’ex presidente Rudy Medeot e dei consiglieri Roberto Marin, Emanuele Oriti, Amedeo Morra, Mario Pamio e Massimo Vosca. Non tutti hanno materialmente già ricevuto l’avviso (almeno fino ieri sera), ma è in arrivo.

È bene ricordare che l’avviso di garanzia non è sinonimo di colpevolezza. Anzi. È un provvedimento con cui la magistratura annuncia alla persona che sta indagando su di essa e dunque da quel momento può organizzare la difesa.

L’ipotesi di reato è quella della malversazione. Un “reatino” rispetto a quanto l’entità del crac ha fatto pensare in questi mesi di complessa indagine. Ma siamo appena agli inizi perché, come è noto, il grosso dei problemi dell’Ospizio si sono manifestati - come acclarato dal Collegio dei revisori dei conti - risale agli esercizi finanziari dal 2004 al 2007.

Perché malversazione? Qui la faccenda non è chiara. Secondo un’interpretazione il reato si sarebbe configurato perché il cda della Fondazione nel 2001, ottenuto un finanziamento di 700 milioni di lire dalla Regione, anziché utilizzarli, come avrebbe dovuto, per abbattere le barriere architettoniche dell’ospizio, avrebbe destinato la somma ai lavori di riqualificazione della sede storica poi diventata clinica Sant’Eufemia e causa di tutti i mali della Fondazione.

Un’altra interpretazione è invece che i 700 milioni erano effettivamente stanziati per la vecchia sede ma dovevano servire alla messa in sicurezza dello stabile, all’epoca ridotto a rudere. Invece, quei milioni furono destinati a predisporre al piano terra il sito per ospitare la futura sezione diagnostica e al secondo piano le sale chirurgiche. Per utilizzare in tal modo quei soldi la Fondazione avrebbe dovuto predisporre una variante al progetto e sottoporlo alla Regione.

Le prime reazioni. Per Marin parlano i legali Caterina Belletti e Riccardo Cattarini: «Il nostro cliente continua a comparire come maggior protagonista in una vicenda nella quale ha avuto, a tutto concedere, un ruolo marginale. Si difenderà, naturalmente, nel merito respingendo ogni accusa in quanto l’utilizzo del contributo in modo diverso da quello originario è stato, come dimostreremo, autorizzato dalla Regione. Ciò che conta in questo momento è manifestare l’apprezzamento per il lavoro dei pm. All’inizio Marin veniva dato in pasto alla pubblica opinione come responsabile principale di un crac finanziario di vaste dimensioni che aveva coinvolto l’utenza e tante famiglie di lavoratori, ma i magistrati hanno letto con attenzione le carte e, all’esito, fatto un grande lavoro di pulizia, hanno contestato un singolo episodio, limitato, che in un leale confronto processuale non potrà che essere risolto. Siamo, infine, lieti del fatto che il confronto giuridico si sposti dalla piazza alle aule di giustizia. Da ultimo notiamo con un velo di amarezza come il nostro cliente abbia avuto notizia dai giornali di un fatto che lo interessa direttamente e non, come suo diritto, e come la legge impone dagli organi di giustizia».

L’avvocato Stefano Cavallo per Rudy Medeot: «L’accusa è che il contributo della Regione è stato destinato ad altri fini. In realtà si parla di due varianti sostanziali alla stessa struttura di via Fiume che hanno interessato il piano terra e il secondo piano. Nessuno si è messo in tasca i soldi. Sono stati utilizzati comunque per la clinica. Nei prossimi giorni chiariremo la vicenda».


(ha collaborato Antonio Boemo)
 


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