I 60 anni che hanno cambiato Monfalcone

Il Novecento industriale dall’Adriawerke alla Solvay attraverso due stati e due guerre mondiali: una mostra di foto d'epoca nella Biblioteca comunale

Quasi sessant’anni di storia industriale, attraverso due stati, e tre forme di governo, due guerre e trasformazioni che hanno mutato radicalmente il volto di Monfalcone. Un arco di tempo denso di vicende economiche, sociali e storiche, che si può ripercorrere alla Biblioteca comunale attraverso le foto e i documenti della mostra, aperta in questi giorni, intitolata “Fabbricare il Novecento.Dall’Adriawerke alla Solvay nella carte dell’archivio storico comunale” (fino al 28 febbraio; orario 9.30-19, sabato 9.30-13), allestita dal Servizio attività culturali del Comune.

L’idea della rassegna è partita dal libro di Anna Maria Sanguineti “Solvay, una sodiera a Monfalcone”, presentato lo scorso autunno nella stessa Biblioteca. I contenuti del libro sono stati approfonditi attraverso documenti e immagini dell’archivio storico del Comune, pazientemente ricercati e poi esposti a cura di Stefano Olivo.

Tutto inizia nel 1911 quando un intraprendente uomo d’affari di Budapest, Arpàd Spitz, con ottimi contatti negli ambienti economici e finanziari di Trieste, e proprietario di miniere di carbone in Dalmazia, si fa promotore della creazione di una fabbrica di carbonato di sodio in quello che allora era l’Adriatisches Küstenland dell’Impero austroungarico.

Spitz acquista così a Monfalcone un’area molto estesa fra il canale di Porto Rosega e la strada che porta a Trieste. A fianco sorgeva la collina di Sant’Antonio, e per sfruttarne la pietra calcare Spitz stipulò con il Comune un contratto di sfruttamento, che però salvaguardava la chiesa di Sant’Antonio.

Licenze e permessi vengono ottenuti in tempi rapidi e così anche è anche per la costruzione di quella che sarà l’Adriawerke, che entra in prodzione nel 1913 . Interessanti in proposito i disegni originali dei progetti degli altiforni per la “cottura” della pietra.

Non lontanto dalla fabbrica, l’azienda costruisce nel 1912, in via Timavo, la prima casa per gli operai, seguita nel 1913 dal complesso di otto edifici in via Valentinis e dal dopolavoro (l’attuale ufficio postale) rigorosamente diviso in due parti, per gli operai e per gli impiegati, e dotato anche di strutture sanitarie. A fianco sorgeva pure l’asilo per i bimbi del personale, distrutto da una bomba nel 1944. Non mancava un campo sportivo, con tanto di bar e biglietteria.

La produzione dell’Adriawerke andrà avanti solo per due anni. Sorta praticamente sul fronte della Grande Guerra, fu una delle prime industrie di Monfalcone a essere distrutte dagli attacchi italiani, sia perchè vicina al mare (potenti cannoni erano montati anche su chiatte) sia perchè le sue alte ciminiere erano ritenute dal “nemico” pericolosi punti di osservazione. Due bombardamenti, nel maggio e nel giugno 1915, mettono fuori uso lo stabilimento, distruggendone buona parte degli impianti.

Nel dopoguerra la fabbrica passa alla belga Solvay, che per la materia prima sfrutta anche una cava a Doberdò, collegandola allo stabilimento con una teleferica.

Alla fine degli anni Trenta la Solvay realizza altre case per operai, impiegati e dirigenti, tutte progettate nella sede centrale a Bruxelles. Particolare interessante, il carbone coke per il riscaldamento era fornito gratuitamente dall’azienda. E una delle ultime case per operai aveva anche il rifugio antiaereo...

La crisi di quello stabilimento che in certi anni diede lavoro fino a 700 persone, crisi dovuta al trasferimento della produzione nell’altra fabbrica della Solvay, a Rosignano, inizia nella seconda a metà degli anni Sessanta.

Nel dicembre 1967 l’allora ministro dell’Industria, Giulio Andreotti, che il sindaco Romani aveva incontrato a Roma, risponde al primo cittadino spiegando che non ci sono possibilità di procrastinare la chiusura della fabbrica né di trovare altre aziende che rilevino lo stabilimento.

Il 5 luglio 1968 “Il Piccolo”riporta con grande evidenza le dichiarazioni del sindaco, appena rientrato da Roma con l’aereo, che in sostanza annuncia la chiusura dello stabilimento. Chiusura smentita dall’azienda, il giorno successivo, con una lettera interna. Poco più di un anno dopo, invece, il 15 ottobre 1969, alle 17.19, i cancelli dello stabilimento di via Timavo si chiudono per l’ultima volta.

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